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Far East Film Festival 2014: il diario della prima giornata

Day 1 al Far East Film Festival di Udine: due i film in programma, Aberdeen di Pang Ho-cheung e Fuku-chan of Fukufuku Flats di Yosuke Fujita

C’è qualcosa di fatale, di misterioso nel rivedere, anno dopo anno, il Teatro Nuovo Giovanni da Udine agghindato per il Far East Film Festival. Le porte del teatro sono un varco spazio-temporale: sai che ci entrerai e sai che al ritorno sarai altro. Ed è un sentimento condiviso. Anche la madrina-sacerdotessa del Festival, Sabrina Baracetti, sempre più almodovariana, entusiasta e iconica (qualcuno la vuole vedere raffigurata nei manifesti di quest’anno) lo rileva nel discorso di apertura.
Sala gremita per la proiezione d’apertura: Aberdeen di quel ‘geniaccio’ (Sabrina dixit) di Pang Ho-cheung. Confezione lussuosissima, fotografato splendidamente e con alcune intuizioni di regia di notevole impatto (le sequenze oniriche con le proporzioni sghembe o l’Hong Kong di carta dove si muove la bambina). Dentro, le storie incrociate di una famiglia della middle class: nonno, figli, nipote con mogli, mariti e amanti che annaspano nella sceneggiatura per cercare una chiave narrativa accattivante, ahimè, senza riuscirci. La quotidianità, con le sue piccole bizzarrie, è già stata narrata in milioni di minuti di girato e con risultati a volte buoni, spesso mediocri. Se lodevole è lo sforzo di cercare altre storie da raccontare, misero e quasi irritante lo snodarsi dell’intreccio in binari buonisti con epilogo e happy end che pare sponsorizzato dalla CEI. E pensare che siamo in Cina. Grandi applausi, comunque, alla fine, con il regista in sala a godersi la gloria italiana.
Va un po’ peggio con il film giapponese seguente: Fuku-chan of Fukufuku Flats di Yosuke Fujita, altro film corale, che ruota intorno agli inquilini di un condominio, capitanati dall’imbianchino Tatsuo, interpretato ‘en travesti’ dalla brava attrice comica Oshima Miyuki, presente in sala col regista. Va un po’ peggio perché, al di fuori dello strano personaggio principale, la messa in scena piuttosto piatta non offre nemmeno quelle vie di fuga visiva che il film di Pang offriva. Le storie parlano di aspirazioni, frustrazioni, amicizia e buoni sentimenti. Le intenzioni sono smaccatamente comiche e buona parte del pubblico partecipa ridendo di gusto. Gli altri devono fare i conti con peti, bizzarrie giapponesi già viste, caratteri tra il folle e il patetico e, soprattutto, un minutaggio eccessivo che spezza anche quel po’ di ritmo comico che, altrimenti, avrebbe potuto, forse, funzionare.

Con il cuore pieno di buoni sentimenti, rientro a casa sperando di trovare un po’ di sana violenza in TV.

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