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Il Festival di Roma mostra le carte, con i jolly Fincher, Dylan Dog, Landis, Knightley e il Giappone come asso. Vincerà la partita?

Il red carpet del Festival del Film di Roma

La montagna ha partorito il topolino? Sfogliando il programma della quinta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (dal 28 ottobre al 5 novembre), presentato alla stampa all’Auditorium Parco della Musica, viene il dubbio che i quasi quattordici milioni di budget di cui dispongono gli organizzatori (nessun altro cinefestival italiano, neanche la Mostra del Cinema di Venezia, dispone di risorse così copiose) potrebbero non dare i loro frutti. Poche star di prima grandezza attese sul tappeto rosso per la gioia dei fotografi e dei giornalisti alla ricerca di gossip, molti film riciclati da altri festival, una presenza esigua di cineasti di peso capaci di smuovere l’interesse delle masse cinefile, un numero ridottissimo di anteprime mondiali (circa sei su sedici film in concorso, quattro delle quali riguardano pellicole italiane). In compenso tanti registi indipendenti, una forte rappresentanza italiana, un focus sul Giappone, incontri tra il pubblico ed i beniamini del grande schermo, omaggi al cinema del passato: basterà a far dimenticare la deludente annata del 2009? In un anno in cui le major americane hanno stretto i rubinetti, la rassegna capitolina sembrerebbe non essere stata in grado di attrarre film, registi ed attori di richiamo al pari di altri festival come quelli di San Sebastian, Londra e Tokyo, per non parlare di quello di Toronto, tutti più o meno suoi diretti concorrenti. Succede sempre più spesso negli ultimi anni, forse perché a Roma manca il fattore principale per la riuscita di ogni manifestazione cinematografica che si rispetti: la specificità della proposta culturale. Ad oggi non è ancora ben chiaro, infatti, quale sia il tratto distintivo del Festival di Roma. Ma tant’è.

Piera Detassis e Gian Luigi RondiSarà un’edizione complessa, con vari punti di interesse”, annuncia la direttrice artistica Piera Detassis. “Quest’anno il festival cambia pelle, si ringiovanisce. Si abbassa l’età media dei registi in competizione: abbiamo puntato sugli autori giovani. Ci saranno molte opere prime, seconde e terze. Grande attenzione è stata riservata al cinema indipendente”. L’unico rammarico della Detassis è quello di non aver potuto contare sul supporto degli studios. “Purtroppo le major americane non hanno voluto concederci alcuni film. Speriamo che cambino idea per il futuro. Il cinema statunitense è comunque ben rappresentato: abbiamo sette titoli a stelle e strisce nella selezione ufficiale. A cominciare dal film di apertura, The Last Night, una commedia sull’infedeltà di coppia, con Keira Knightley, che per l’occasione sfilerà sul nostro tappeto rosso insieme ad alcuni interpreti del cast, tra cui Eva Mendes. Non mancheranno però temi forti. Uno dei film che farà parlare di più la stampa sarà Oranges and Sunshine di Jim Loach (il figlio del più noto Ken), sul grande scandalo della deportazione di migliaia di bambini inglesi nelle colonie britanniche, una pagina buia della storia dell’Inghilterra che ha costretto recentemente il premier David Cameron a fare ammenda. Un altro film che non passerà inosservato sarà The Back di Liu Bingjian, che mescola cinema e body art per rileggere la rivoluzione culturale cinese in una chiave originale”.

Toni Servillo in una scena di Una vita tranquillaLa pattuglia di film italiani conta quattro titoli in concorso: in gara per il Marc’Aurelio d’oro (il massimo riconoscimento assegnato dal festival) troviamo Guido Chiesa con Io sono con te, Italo Spinelli con Gangor, Valerio Jalongo con La scuola è finita e Claudio Cuppellini con Una vita tranquilla. “‘2010, fuga dall’Italia’ è il titolo che avremmo voluto dare alla selezione italiana, perché tre dei quattro film in competizione sono stati girati da registi italiani all’estero”, confessa la Detassis. Fuori concorso Il padre e lo straniero di Ricky Tognazzi (dal romanzo di Giancarlo De Cataldo), mentre tra gli eventi speciali figurano La scomparsa di Patò di Rocco Mortelliti (adattamento di un romanzo di Andrea Camilleri, che incontrerà il pubblico in occasione della presentazione del film), Le cose che restano di Gianluca Tavarelli (seguito ideale de La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana), i documentari Inge Film di Luca Scarzella, Francesco Nuti… e vengo da lontano di Mario Canale e Crisi di classe di Giovanni Pedone ed il cartoon in 3D Winx Club – Magica avventura di Iginio Straffi.

Una immagine di The Social NetworkI fiori all’occhiello del programma sono sostanzialmente tre: la première italiana di The Social Network, in cui David Fincher narra la vera storia di Facebook e del suo fondatore Mark Zuckerberg, e le anteprime internazionali di Burke and Hare, film che segna il ritorno di John Landis dietro la macchina da presa dopo un’assenza dal grande schermo durata dodici anni, e di Dylan Dog: Dead of Night di Kevin Munroe, trasposizione del fumetto di culto di Tiziano Sclavi, di cui verranno proiettati venti muniti. Per il resto, occhi puntati su In a Better World di Susanne Bier (in corsa per una candidatura all’Oscar come Miglior film straniero dopo il successo riscosso al Festival di Toronto), Rabbit Hole di John Cameron Mitchell (anch’esso già transitato a Toronto, con Nicole Kidman ed Aaron Eckhart nei panni di due coniugi che devono affrontare la scomparsa improvvisa di un figlio), Let Me In di Matt Reeves (remake targato Hammer dell’horror vampiresco Lasciami entrare di Tomas Alfredson), Broadwalk Empire (pilot di una serie tv della HBO, ambientato nell’era del Proibizionismo e diretto da Martin Scorsese), la versione cinematografica di Carlos (miniserie di Olivier Assayas che ripercorre le gesta del terrorista filopanestinese Ilich Ramírez, presentata fuori concorso allo scorso Festival di Cannes) ed Animal Kingdom di David Minchod (dramma dalle venature noir che ha trionfato all’ultimo Sundance Film Festival).

Una scena di The Borrower ArrietyIn vetrina il Giappone, a cui sarà dedicato un focus che prevede la proiezione di una serie di film di produzione recente (tra gli altri, The Incite Mill: 7 Day Death Game, nuovo incubo orrorifico dello specialista Hideo Nakata), un omaggio ad Akira Kurosawa e Satoshi Kon (di cui verranno riproposti rispettivamente Rashomon e Perfect Blue), una retrospettiva delle pellicole d’animazione dello Studio Ghibli (da Nausicaa della valle del vento di Hayao Miyazaki a The Borrower Arriety di Hiromasa Yonenayashi), mostre fotografiche ed installazioni.

Tra le attività collaterali: le conversazioni con John Landis ed Alexandre Rockwell, i duetti tra Margherita Buy e Silvio Orlando e tra Gabriele Salvatores e lo scrittore Giancarlo De Cataldo, gli incontri con Assayas e Fanny Ardant (che porterà a Roma il suo cortometraggio Chimères Absentes), un omaggio ad Ugo Tognazzi e l’anteprima mondiale della versione restaurata de La dolce vita, il capolavoro di Federico Fellini.
I fan a caccia di autografi rischiano di rimanere un po’ a bocca asciutta: a parte la Knightley e la Mendes, le star hollywoodiane non prenderanno d’assalto il red carpet. Gli appassionati dovranno rinunciare a Scorsese ed alla Kidman, che non saranno nella Capitale per impegni di lavoro. Potranno però rifarsi gli occhi con Julianne Moore, ospite d’onore per ritirare l’Acting Award alla carriera e per accompagnare The Kids Are All Right, di cui l'attrice è protagonista.

Fiction televisive e film indipendenti, glamour e cinefilia, il richiamo di Hollywood e l’esotismo del Sol Levante, nuove proposte e classici, autori emergenti e registi affermati, promozione e diffusione: il Festival di Roma non rinuncia dunque alle sue molteplici contraddizioni. Speriamo che dal suo calderone non esca fuori una maionese impazzita. Stay tuned!

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