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Groucho e Io: l'autobiografia di un eccentrico mentitore

Nuova edizione per l'autobiografia più fuori dagli schemi mai scritta: quella di Groucho Marx. In oltre 300 pagine sono esposti aneddoti e storie, vere o no, che hanno caratterizzato l'esistenza di Julius Henry Marx e dei suoi fratelli. La leggerezza e la naturalezza con cui lui stesso li racconta, rendono la lettura divertente e unica

Non c'è nessun aneddoto, racconto, storia, vicenda che possa sembrare vera. Questo libro raccoglie una serie di storielle inventate per l'occasione al fine di consolidare la sua figura di comico assoluto, di impareggiabile virtuoso della risata. Il lui è Groucho Marx, in arte Julius Henry Marx che penna alla mano si racconta nella sua biografia Groucho e io, prima edizione Adelphi nel 1997 nella collana Piccola Biblioteca Adelphi, per poi essere riproposta in una seconda edizione nel 2017 nella collana Gli Adelphi con la traduzione di Franco Salvatorelli (12 €, 316 pagine con foto, 28 capitoli).
Il libro è spassoso, divertente e le oltre 300 pagine di cui si compone volano via con un perenne sorrisino sulle labbra, intervallato da qualche fragorosa risata. Il merito è tutto di Groucho (e anche del traduttore che ha saggiamente restituito l'atmosfera del testo originale), della sua vita e della sua personalissima idea di biografia. A pagina 18 Marx spiega: "La maggior parte delle autobiografie badano bene di nascondere l'autore ai lettori. Quasi sempre, quello che il pubblico compra, alla fine, è un volumetto pieno di ambigue panzane dove i fatti sono accuratamente occultati". Poi prosegue: "Il novanta per cento è pura invenzione". Groucho, infatti, sostiene che un'autobiografia possa essere sincera solo se postuma e divenire un libro sensazionale solo se rivela pensieri e aneddoti sulla vita di chi scrive. Si insinua, quindi, nel lettore che quanto riportato nelle pagine a seguire non sia vero, e che soprattutto il racconto sia stato infiorettato da "aneddoti sensazionali" che il pubblico brama di leggere, anche se non del tutto veri. Groucho è stato un formidabile comico ed è noto che un qualsiasi racconto risulta comico se gonfiato, travisato e magari modificato. A pagina 72 di Groucho e io l'autore, inoltre, afferma che per lui e i fratelli in gioventù mentire con costanza e fermezza era l'unico modo per sopravvivere. Insomma la menzogna, forse, è servita. Ma è proprio questa ambiguità che rende il libro piacevole.

È veramente un'autobiografia? Tale presupposto si avvalora mano a mano che si sfogliano le pagine. Groucho non narra gli eventi in ordine cronologico stretto. Parte dal racconto dell'infanzia, della vita nello spettacolo, per giungere alla vita da sposato. Il racconto è, però, disseminato di sbalzi temporali, di rimandi a ciò che è stato o a quanto accadrà, tenuto insieme dagli aneddoti. Ecco perché i capitoli sono tematici, focalizzati su un determinato passaggio di vita: l'infanzia, le prime tournée, la crisi del '29, il suo approdo alla televisione, la figlia Melinda, il rapporto con i produttori, gli amici, le donne. Il lettore scopre che a un certo punto della sua vita Groucho si è sposato e si è trasferito da New York a Chicago e poi a Los Angeles, e che in un non tanto precisato momento Julius Henry è divenuto l'uomo di spettacolo da tutti conosciuto. Stando a quanto si legge, Groucho abbastanza improvvisamente si ritrova, infatti, sul palco accompagnato sempre dai suoi fratelli (che appena può prende in giro) Harpo, Chico e Gummo, dimostrando così che nella vita si può fare tutto, basta crederci anche se si nasce in una famiglia che non offre molto. Non c'è, infatti, commiserazione o patetismo nelle parole del comico per la sua infanzia non abbiente, ma solo la naturale convinzione che il mestiere dello spettacolo era insito nel DNA dei fratelli Marx. I segnali c'erano, infatti, tutti: sua nonna era un'arpista che cantava jodel pizzicando le corde dell'arpa, mentre suo nonno era un ventriloquo quando abitava in Germania. È soprattutto grazie alla madre che si deve la nascita dei fratelli Marx. La donna, infatti, stando a quanto racconta Groucho, visti gli insuccessi scolastici e lavorativi dei figli, decise di gettarli nel mondo del varietà come "yachtsmen" un quartetto vocale chiamati così a causa dei completi bianchi di tela bianca che la madre comprò in svendita.

Tutto nacque in famiglia. Sempre prendendo con le dovute distanze quanto narrato da Groucho, nella sua famiglia si respirava una gran libertà, una leggerezza di vita, una spinta normale a fare ciò che si desiderava e soprattutto una voglia di scoprire. Questa caratteristica ha sempre accompagnato la carriera dei fratelli. Stanchi, infatti, del varietà approdarono prima a Broadway e poi al cinema, per cercare nuovi mondi in cui sviluppare la loro vena creativa. Per lo stesso motivo Groucho si stancò abbastanza presto del cinema per passare alla radio e alla televisione. I soldi erano importanti per i fratelli Marx, ma non erano il solo motivo per fare spettacolo. La famiglia Marx, infatti, come lui stesso afferma, viveva di pane di segale e di un pianoforte. Il padre, inoltre, faceva il sarto, anche se la naturale inclinazione era cucinare. Sembra però, che non vivesse con angoscia questo compromesso di vita, anzi si divertiva a fare gli abiti, perché era una persona felice a cui piaceva giocare a pinnacolo con Harpo e Chico (Groucho non partecipava perché, come diceva suo papà, lui pensava solo alle donne). La mamma era molto vanitosa ed estrosa tanto da decidere un giorno di andare in Europa in nave con sua cugina, sua figlia, ChicoGroucho per la gioia di quest'ultimo. Perché Groucho si chiamasse all'anagrafe Julius Henry dipende sempre dalla madre. Sembrerebbe, infatti, che il nome Julius fosse stato preso dallo zio Julius che la donna pensava fosse ricco, tanto da concedergli l'onore di essere il padrino del ragazzo. In realtà lo zio era solo un approfittatore squattrinato che orgoglioso dell'investitura si trasferì a casa Marx per molto tempo. Anche il nome Henry è preso per celebrare un altro zio. Groucho, invece, non racconta mai perché si questo fosse il nome d'arte, né tantomeno quello dei fratelli. Questo rende l'autobiografia anche più misteriosa e l'idea che forse Julius Henry non abbia mai vissuto, ma che sia sempre esistito solo Groucho. Quanto narrato del comico nell'autobiografia appare, così, intriso di una venatura di giallo, di misterioso. Ogni aneddoto assume i contorni dell'epico, perché descritto nei dettagli delle intenzioni e delle azioni, come fossero delle inquadrature su carta. Chi legge sembra, infatti, poter vedere il volto angelico di Harpo quando ne combina una delle sue o lo sguardo satanico di Groucho quando fu preso dalla febbre della speculazione finanziaria prima del 1929. Questi particolari, veri oppure no, incollano alla lettura e spingono a domandarsi: "come andrà a finire?".

Altre storie. Insomma Groucho e io è un'autobiografia ricolma di quegli aneddoti sensazionali, di quelle 'panzane' cercate dal lettore. Si scopre quindi che all'inizio della carriera di Groucho i famosi baffi erano appiccicati con la colla, per poi utilizzare il cerone nero. Quando approdò al cinema nel 1931, giusto in tempo per riguadagnare i soldi persi nella crisi del 1929, si scontrò con la Paramount, la quale era convinta che i suoi baffi al cinema non facessero ridere e che la sua vena comica avesse bisogno di essere rivisitata. La ragione ovviamente fu dalla parte di Groucho. Il discorso del suo bar mitzvah fu lo stesso di Chico e Harpo e fu comprato dalla madre per 25 cents da un dignitario del tempio. Poi le donne. In ogni incontro avuto da Julius con le donne è accaduto sempre qualcosa di comico. La prima fu Lucy, una bambina di 12 anni che abitava nell'appartamento sopra quello in cui abitava la sua famiglia con cui non finì bene a causa di un tram. Poi Irene che incontrò nella sua prima tournée, ma scappò con un domatore. Con Maud Muller giunse presto la conclusione per una pozzanghera, nonostante per l'occasione Groucho acquistò una vecchia Chalmers. Ci fu poi Ginny, una ballerina che nel debutto a Broadway dei fratelli li accompagnò sul palco. Non era capace, a detta di Groucho, infatti dopo aver lavorato con loro, la videro lavorare come cameriera in un ristorante. Infine Melinda, sua figlia, che ciò che diceva era legge, la quale possedeva molto della positiva irriverenza e sottile intelligenza del padre. Altre storie riguardano la Warner che gli fece causa per il film Una notte a Casablanca, troppo simile a Casablanca. La risposta di Groucho è riportata a p. 228 dell'autobiografia e ha del geniale per il modo semplicissimo con cui smonta l'arroganza della major. A Londra il comico conobbe Charlie Chaplin con cui frequentò, qualche anno più avanti, un bordello a Salt Lake City "così per gioco" (p. 130). Lui lo definisce il più grande personaggio comico che sia mai stato partorito dal cinema o da qualsiasi altra forma di spettacolo. I grandi mattatori del cinema, secondo lui, furono Chaplin, Buster Keaton, Harold Lloyd, Laurel e Hardy e Red Skelton.

E poi si giunge alla conclusione e le pagine di Groucho e io finiscono con la conferma dell'enorme ego di Groucho. Una donna gli disse "Per favore non muoia" e lui scrive nell'autobiografia: "Si può desiderare di più?". Dalla divertente menzogna, all'epico, alla volontà di compiacimento. Questo l'asse su cui si articola l'autobiografia, che descrive la vita di una persona poco socievole, misantropa che non nega il suo interesse per le giovani fanciulle come ammette alla rivista Confidential. Julius Henry Marx, in arte Groucho Marx, ha sempre avuto paura della povertà, ma è vissuto nella convinzione che prendere la vita alla leggera fosse il presupposto più giusto. Sarà vero?



Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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