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Fear of Falling - Recensione

Jonathan Demme porta al cinema Il costruttore Solness, pièce di Ibsen, partendo dall'idea di una produzione teatrale di Wallace Shawn e Andre Gregory. Operazione coraggiosa ma che annoia da morire...

Paura di cadere... addormentato. Con la tradizionale acuta ironia romana, a fine proiezione un amico, lui sì della Capitale al contrario del sottoscritto, aggiunge al titolo, asleep (addormentato), sintetizzando il giudizio sul film di Jonathan Demme. Perché Fear of Falling, in italiano appunto Paura di cadere, è uno di quei lungometraggi che andrebbero bene per i test da laboratorio sulla caffeina. Anche previo imbottitura di espresso, resistere al richiamo di Morfeo per le oltre due ore di visione è impresa ardua.
Il regista premio Oscar Jonathan Demme trasporta al cinema Il costruttore Solness, pièce di Ibsen, partendo dall'idea di una produzione teatrale di Wallace Shawn e Andre Gregory che sono anche protagonisti del film. Halvard Solness è un affermato architetto che per l'età avanzata e la salute precaria è ormai giunto nell'ultima fase della sua vita. Un amico in punto di morte lo implora di valutare il lavoro del figlio, Ragnar, che collabora da anni come assistente di Halvard. Ma l'architetto ha paura di vederlo andar via se dovesse riconoscerne il valore. Ne seduce anche la moglie Kaia che subisce il fascino del costruttore, così come Hilde, una giovane che si presenta nella casa dell'architetto ricordando ad Halvard una promessa fatta anni prima, quando lei era ancora un'adolescente.
Una casa dentro la quale Demme rinchiude i suoi personaggi senza in pratica far vedere allo spettatore il loro mondo esterno. Non solo l’ambientazione, ma anche tutto il resto è fortemente influenzato dal teatro. Troppo. Manca un'accettabile mediazione con il linguaggio cinematografico. Troppe sottolineature, dialoghi e monologhi interminabili. Se davanti a un palco possono non pesare, risultano essenza stessa del teatro, su grande schermo appaiono insostenibili. Distruggono la sottigliezza, il non detto, il lasciar parlare anche le immagini che caratterizza il cinema.
Anche la recitazione lascia più che altro dubbi. Se Wallace Shawn ci mette tutto se stesso, si vede quanto a cuore gli stia il progetto, gli altri non convincono e soprattutto la prova dell'attore che interpreta Ragnar (Jeff Biehl) risulta imbarazzante.

Resta d'interessante il tema del rifugio nel sogno del protagonista, dalla paura di cadere, di essere sostituito. Non abbastanza per tenere desta l'attenzione dello spettatore.

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