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Joe - Recensione (Venezia 70 - In concorso)

Nel profondo Sud dell’America, dove non sembra esserci posto per i sogni, una storia di redenzione, un’amicizia particolare tra un uomo tormentato e un ragazzo in cerca di una figura paterna

Attori teenager così se ne vedono, e se ne sono visti, davvero pochi. Se la sua prima apparizione su grande schermo, figlio minore della famiglia O’Brien in The Tree of Life, era stato un indizio, e la seconda, protagonista assoluto di Mud di Jeff Nichols, una prova già schiacciante, quest’ultimo ruolo in Joe non fa che confermare il talento, la bravura, l’intensità abbinata alla capacità di controllo di questo giovanissimo attore: Tye Sheridan. Il futuro è suo.
Nel film di David Gordon Green, da una sceneggiatura di Gary Hawkins che si basa su un romanzo di Larry Brown, il giovane attore interpreta Gary, quindici anni (nella realtà, adesso, lui ne ha sedici), un ragazzo che vive una situazione familiare difficile soprattutto a causa del padre ubriacone. Quando si trasferiscono in un nuova città, in Texas, Gary incontra Joe (un Nicholas Cage efficace), un uomo collerico, ma in fondo dal cuore tenero, con una vita dura alle spalle che sta solo cercando di dominare il suo istinto a cacciarsi nei guai, di usare la violenza per risolvere i problemi. Gary inizia a lavorare per lui e tra loro nasce una profonda amicizia.
Un’amicizia commovente sullo sfondo di un America rurale, di un profondo Sud dove non sembra esserci posto per i sogni. Nemmeno per un quindicenne già disilluso da una vita difficile. Un’amicizia che diventa veicolo di redenzione per entrambi. Per Gary, costretto a crescere troppo in fretta, a provvedere alla sua famiglia, anche a quel padre biologico causa di sofferenze, significa trovare una vera figura paterna; per Joe di redimersi dalle colpe del passato che lo tormentano, di intravedere una vera serenità che non riesce a conquistare.

Solitudini che si incontrano. Reietti, ubriaconi, violenza, vendetta, redenzione. Gli ingredienti non sono particolarmente originali, anzi piuttosto tipici per un film con quella ambientazione. Conta però il risultato e quello, se certo non si può dire eccezionale, è buono.

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