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The Bay - Recensione

Un falso horror sotto forma di falso documentario in falso stile 'lost footage’ su di un falso disastro ecologico a causa di false creature mutanti. Ed è tutto vero, purtroppo

C’era una volta la ‘Stagione cinematografica’. Iniziava con le prime campanelle a fine settembre e terminava con i gavettoni degli scrutini. E con l’estate, per noi malati di schermo, arrivavano i fondi di magazzino, i b-movie, in cui la componente horror era predominante. Spesso capitavano vere leccornie, fra truculenza e comicità involontaria, recitazioni improbabili e inquietanti prodotti di esotici paesi.
Oggi non ci sono più le stagioni, come si sa, non solo le mezze, e templi del monopolio mainstream sfornano film intercambiabili ogni settimana con titoli diversi e risultati che vanno dall’inutile, per lo più, al rarissimo sublime. Con meno rarità, purtroppo, capitano anche quelle che si possono definire, secondo la famosa definizione riportata dal compianto critico Roger Ebert, merde cinematografiche (piece of shit).
E’ questo il caso di The Bay, insulso horror a sfondo ecologico, diretto dal settuagenario Barry Levinson in evidente e avanzato stato di demenza senile.
La storia è semplice e, nelle sue premesse da fumetti Marvel anni ’70 (o punk), si poteva prestare a ben altre suggestioni. Un paesino del Maryland, filtrando l’acqua del mare, riesce ad alimentare e a far prosperare un enorme industria di polli. I polli fanno tanta cacca che si riversa nel mare. Nel mare si riversano pure scorie radioattive. Cacca di pollo + scorie = acquatico scarafone assassino che infesta e mangia pesci e uomini dall’interno, decimando l’ignara popolazione festosa del 4 luglio.
Questo promettente plot è purtroppo narrato con il logoro sistema del ‘lost footage’, (produce Oren Peli, quello di Paranormal Activity) con finti video recuperati da telecamere di sorveglianza, telefonini, ecc., montati e narrati via Skype da una giornalista superstite, sotto forma di documentario verità. Risultato: immagini di pessima qualità, sgranate, sbilenche che dovrebbero donare veridicità e che invece, spesso, riprendono le scene da angolazioni non coerenti, donando al tutto un senso di fasullo indisponente e annoiante. Gli scarafoni assassini compaiono pochissimo e le scene davvero gore si contano sulla punta delle dita. Non si riesce nemmeno a ridere delle performance degli interpreti o delle inevitabili scempiaggini logiche, di cui il genere solitamente abbonda, perché l’espediente del finto documentario toglie spessore ai personaggi e genera distacco nello spettatore, privato della morbosità insita nell’osservare una vicenda realmente accaduta.

Quando c’era ancora la Stagione, un film come questo sarebbe stato tolto dall’esercente dopo un solo giorno di programmazione. Oggi la logica del palinsesto vince su quella del gusto, ammesso ne sia sopravvissuto uno.

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