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Effetti collaterali

Dramma, thriller, suspense, denuncia. C’è di tutto un po’ in Effetti collaterali, ultima pellicola di Steven Soderbergh, un regista che dal dittico sul Che fatica a trovare la storia giusta per mostrare la propria reale abilità

Steven Soderbergh è un autore prolifico, questo è evidente. Da Sesso, bugie e videotape (il suo esordio alla regia con il quale vinse la Palma d'oro al 42º Festival di Cannes) ha sfornato quasi un film all’anno, con risultati eccellenti come il film sopracitato ed Erin Brockovich - Forte come la verità (che valse il Premio Oscar a Julia Roberts). Ma negli ultimi anni abbiamo assistito ad una escalation di pellicole deludenti e alcune volte decisamente sopra le righe come Knockout - Resa dei conti o Magic Mike, film che fatichiamo a collocare nell’ambito della cinematografia del regista americano. Con Effetti collaterali Soderbergh gioca continuamente coi generi. Si parte con il dramma, si continua con il  thriller e la suspense, abbellendo il tutto con qualche stoccata di denuncia alla società americana.
Rooney Mara è Emily, giovane donna che comincia a soffrire di crisi depressive da quando suo marito (Channing Tatum) esce dal carcere, dopo un’incriminazione per insider trading. Incapace di gestire questo disordine emotivo Emily decide di compiere un gesto estremo, ma fortunatamente rimane illesa. Al pronto soccorso conosce lo psichiatra Jude Law, il quale la convince ad entrare in analisi presso il suo studio. La terapia inizialmente ha i suoi effetti positivi, ma il farmaco che le viene prescritto, l'Ablixa, avrà sulla donna delle conseguenze devastanti. Ci fermiamo qui con la trama per rispettare, giustamente, la presenza di colpi di scena.
La sceneggiatura scritta da Scott Z. Burns scorre senza intoppi e con delle trovate convincenti soprattutto nella prima parte del film, dove si pone la lente di ingrandimento sul problema dell’abuso degli psicofarmaci, delle case farmaceutiche che mentono spudoratamente sui test effettuati prima di mettere un prodotto sul mercato e di come la pubblicità sia assolutamente fuorviante. Se il film si fosse concentrato su questi aspetti, invece che virare clamorosamente sul thriller, avremmo lodato il ritorno del Soderbergh che conoscevamo.

La tensione, durante la visione, rimane alta, ma nella seconda parte la confusione regna sovrana, e i tentativi di depistare lo spettatore dalla soluzione finale sembrano più un voler nascondere l’impossibilità di trovare una conclusione convincente e che riequilibri il caos al quale siamo stati sottoposti.
Il regista ha annunciato di voler sospendere la sua attività da regista, ma intanto lo vedremo a Cannes con il film per la televisione Behind the Candelabra, che verrà presentato in concorso al Festival.

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