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The Master (Venezia 69 – In concorso)

Una immagine tratta da The MasterDopo svariate difficoltà produttive e lunghe sedute di montaggio, Paul Thomas Anderson partorisce in 70mm il suo The Master: la storia di un'amicizia controversa tra un predicatore astuto (che ricorda il fondatore di Scientology) e un vagabondo alcolizzato senza arte né parte. Una parabola di grande spessore cinematografico sullo scontro tra l'ansia di dominio e la ricerca di una ragione di vita

Non è la biografia vera o presunta di L. Ron Hubbard, il controverso fondatore di Scientology, il movimento che diffonde credenze pseudoscientifiche che dovrebbero essere in grado di farci comprendere la vera natura dell'uomo. No, smentendo le indiscrezioni che erano trapelate negli ultimi mesi, The Master, ultima fatica di Paul Thomas Anderson (uno dei registi più talentuosi del panorama americano), in concorso alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia, va oltre la semplice cinebiografia. Per fortuna è qualcosa di più e di meglio di quello che di solito ci offre il genere.
Anderson tradisce in parte le aspettative ripercorrendo solo alcuni passi della vita da guru dell'ideatore di Scientology per poi prendere il largo verso un racconto di più ampio respiro, ambientato negli Stati Uniti degli anni Cinquanta. Al suo fianco un grande cast: Philip Seymour Hoffman è Lancaster Dodd, detto The Master, un imbonitore di mezza età dotato di grande carisma, a capo di una setta impegnata nella diffusione di teorie sul controllo del pensiero umano (ebbene sì!) che sembrano trovare terreno fertile in una nazione assetata di spiritualismo. Joaquin Phoneix è Freddie Quell, un ex soldato che, al ritorno dalla Seconda Guerra Mondiale, non sapendo cosa fare della propria vita, si sposta da un posto a un altro trascorrendo parte delle giornate a bere improbabili miscugli alcolici dannosi per la sua salute. Un santone che detta regole ineludibili per vivere meglio con se stessi e un girovago senza arte né parte con una personalità distruttiva che ama la libertà: il loro incontro dà vita a un'amicizia piena di alti e bassi che fornisce ad Anderson l'opportunità di mettere a confronto due universi contrapposti.
Girato interamente in 70mm (un formato inusuale che veniva utilizzato perlopiù per le pellicole epiche), The Master è un'opera complessa: come tutti i film di pensiero, ci risulta impossibile da valutare in tutta la sua pienezza artistica con un sola visione. La sensazione più forte, immediata, quella che ci è rimasta impressa sulla retina dopo i titoli di coda: una parabola intimista di grande spessore cinematografico sullo scontro tra due forze, tra l'ansia di dominio (Lancaster) e la ricerca di una sorta di centro di gravità esistenziale (Freddie). Tutto il film è un continuo ping-pong tra il fuoco interiore dei due personaggi protagonisti (splendidi i continui campi e controcampi che li mettono a confronto), l'uno speculare all'altro e pertanto necessari a vicenda. Entrambi, però, destinati a fallire: Lancaster non riuscirà mai a esercitare un controllo sul suo amico (visto come la cavia perfetta per mettere alla prova se stesso e testare le sue teorie sull'uomo), Freddie a sua volta diventerà schiavo della sua stessa libertà, e non troverà mai quel posto nel mondo, quella ragione di vita che il credo del santone sembrava promettergli.
Questa in breve la sostanza del film, difficile da mettere bene a fuoco, polisemica ma che indubbiamente ci parla di un lato oscuro vicino a noi stessi. C'è poi l'aspetto estetico, che sin dalle prime immagini ci è parso sulla stessa lunghezza d'onda de Il petroliere (l'opera precedente di Anderson, forse il suo capolavoro): ovvero pregevole in ogni elemento, dall'esemplare uso delle musiche di Jonny Greenwood dei Radiohead (un flusso che scandisce continui tumulti interiori sempre sul punto di implodere) alla disciplinata e incisiva composizione della inquadrature (che ricordano certe geometrie kubrickiane), alla spasmodica cura per le luci (ispirata a un principio di raffinata essenzialità che esalti le situazioni).

Tutti elementi che conferiscono a The Master lo status di film concettuale ma sicuramente bello da vedere anche solo con gli occhi.

 


 

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