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Hereafter

La locandina originale di HereafterTra San Francisco, Parigi e Londra, le storie interconnesse di tre persone toccate dalla morte ed il loro rapporto con l’aldilà. Sulla scorta di una sceneggiatura di Peter Morgan che si interroga sul mistero del dopo-vita, Clint Eastwood volge lo sguardo della sua macchina da presa verso il trascendente. Con Matt Damon e Cécile De France
Marie è un volto noto del giornalismo televisivo francese: una sciagura provocata da uno tsunami durante un soggiorno in Indonesia le ha fatto vivere un’esperienza tra la vita e la morte che l’ha segnata e sconvolta nel profondo, cambiandola per sempre al suo ritorno a Parigi. George è un operaio che vive a San Francisco: ha un potere del tutto particolare, quello di comunicare con i morti, un dono che per un breve periodo lo ha spinto ad intraprendere l’attività di sensitivo e di cui ora vuole liberarsi con tutte le sue forze per condurre una vita normale. Marcus è un adolescente londinese, figlio di una tossicomane: dopo aver perso il fratello gemello Jason in un terribile incidente stradale, cerca disperatamente di trovare un medium che possa metterlo in contatto con lui. I destini dei tre si incrociano nel momento più delicato della loro vita.

Cosa ci aspetta dopo aver esalato l’ultimo respiro? Come può un individuo scomparire per sempre? Con quali forze è possibile andare avanti in seguito al decesso di una persona cara? Sono gli interrogativi che emergono in Hereafter, primo lungometraggio di Clint Eastwood che si confronta con la morte come tema su cui costruire una storia sospesa tra realismo soprannaturale e dramma intimista. Su queste riflessioni non nuove al cinema americano, il film immerge lo spettatore in un clima teso ed angosciante, adottando da subito una rappresentazione dei fatti, delle relazioni tra i personaggi e delle loro motivazioni che rivela un coraggioso atto di fede: credere alla possibilità che esista un aldilà, inteso come uno spazio che mantiene vivo il legame brutalmente reciso tra i defunti e le persone care rimaste in vita. Come a dire: non sempre la morte significa la fine di tutto.
Matt Damon in una scena del filmUn soggetto molto delicato, dunque, in cui sono ‘inciampati’ numerosi cineasti eccellenti (ricordate The Fountain – L’albero della vita di Darren Aronofsky?). Un argomento rischioso per Eastwood specie al momento di trasportare in immagini le pagine scritte della sceneggiatura di Peter Morgan, già autore degli script di The Queen – La regina e Frost/Nixon. Il regista di Million Dollar Baby, però, non ha vinto la scommessa: quella che sembrava una tortuosa parabola sulla speranza di una vita ultraterrena e sull’accettazione della morte, vira a poco a poco verso il più razionale e scontato melodramma sulla ricerca di risposte attinenti la sfera personale.
Se si esclude qualche ottima scena madre ed alcuni ritratti potenti di umanità, il film ha uno stile visivo e narrativo che mostra buone intenzioni ma che allo stesso tempo rivela uno sviluppo incerto. Non può dirsi del tutto riuscito: è macchinoso, privo di suspense, senza grandi spunti d’interesse, come se l’esplorazione del trascendente non fosse nelle corde di Eastwood. Per più di due ore si annaspa quindi alla ricerca del regista che affrontò con grande incisività la stretta correlazione tra vita e morte in Mystic River. Purtroppo non aggiungono molto al film le interpretazioni di Matt Damon (nei panni di George) e Cécile De France (che presta il volto al personaggio di Marie).

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