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Figli delle stelle

Figli delle stelleLucio Pellegrini racconta la vicenda di un gruppo improvvisato di rapitori che decide di sequestrare il Ministro del Lavoro, ma si ritrova con in mano il politico sbagliato. Commedia che riflette sul disagio sociale di oggi con ironia e situazioni grottesche

Un operaio del Petrolchimico di Marghera dopo aver visto morire un suo collega sul lavoro, va a Roma invitato in una trasmissione televisiva per rivendicare giustizia. Da questa esperienza piuttosto negativa, ci saranno vari incontri: la sua amica giornalista precaria che l’ha portato in tv, un insegnante di ginnastica che ha perso il lavoro e fa il cameriere all’Autogrill sull’Autostrada, e un ricercatore precario all’Università. Un gruppetto idealista e sconclusionato che decide di rapire il Ministro del Lavoro, ma sequestra l’uomo sbagliato. L’idea insensata è quella di ottenere un cospicuo riscatto da consegnare alla vedova dell’operaio morto sul lavoro. Tra fantomatico terrorismo e idealismo retrò, la banda non brilla per organizzazione e lucidità, insomma sono precari in tutti i sensi. Dopo aver spostato il covo tra le montagne della Valle d’Aosta, in un appartamento pieno di cimeli e vestiti vintage, si coalizzeranno con gli abitanti del posto per riuscire a riscuotere finalmente il denaro. Ma non tutto andrà come previsto e alla fine rimarrà solo il sogno infranto di un riscatto sociale.

Favino e BattistonLucio Pellegrini dirige una commedia all’italiana, che si rifà ai grandi capolavori del genere, strizzando l’occhio ad un film paradigmatico come I soliti ignoti, per raccontare un disagio molto attuale che si alimenta nel contesto italiano dove precariato, morti sul lavoro e insoddisfazione latente, sono gli elementi con cui la maggior parte delle persone deve fare i conti. La commedia cerca di sdrammatizzare il tutto con ironia e cinismo, puntando su un cast di attori – Claudia Pandolfi, Pierfrancesco Favino, Fabio Volo, Giuseppe Battiston, Giorgio Tirabassi e Paolo Sassanelli – che dà vita a situazioni paradossali, al limite del surreale. Il regista Pellegrini fa di tutto per rendere il senso del film attraverso un risvolto comico, ma se la seconda parte riesce attraverso gag, battute, situazioni brillanti a supportare l’impianto narrativo, la prima parte zoppica, non riuscendo a mantenere sempre l’interesse per quello che stiamo vedendo.
Pellegrini usa l’ambientazione della montagna dove tutto si è fermato agli anni ’60 e ’70 – ben riuscita infatti l’idea di vestire i personaggi con i vestiti di quel periodo – per ricordarci delle utopie del passato, del tempo in cui le rivoluzioni erano ancora possibili e le battaglie politiche avevano ancora dignità, anelando alla giustizia e all’uguaglianza sociale. Ma i sogni di oggi sono cambiati, le rivoluzioni non hanno più senso e anche i nostri personaggi spengono il fuoco del loro idealismo sotto una coltre di neve alpina. Un film non sempre perfetto, soprattutto nella descrizione dei personaggi: è infatti un po’ naif il loro risvolto psicologico e scivola nel qualunquismo più insopportabile, come nel caso del talk show televisivo in cui Fabio Volo si perde tra i discorsi tronfi dei politicanti di turno. L’interpretazione di Favino porta comunque una sana allegria in tutto il film e anche Battiston, nel suo filosovietismo estetico e culturale, tutto parka, colbacco e Internazionale socialista, strappa molte risate.

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