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Eat Sleep Die (Venezia 69 - Settimana della critica)

Eat Sleep Die - ImmagineUna Svezia di provincia in cui la storia di una ragazza testarda riesce a smuovere (almeno un po') le coscienze addormentate dei quotidiani abitanti del grigio e freddo niente. Miglior film alla Settimana della critica veneziana, edizione 2012

Se il Lynch di Twin Peaks ci ha insegnato che “i gufi non sono quello che sembrano”, l’esordiente regista svedese Gabriela Pichler, con il suo Eat Sleep Die, ci insegna che è la Svezia a non essere quello che sembra a una prima occhiata esterna che solitamente ne vede un esempio vivido di successo di convivenza e integrazione sociale. Rasa, la protagonista di questa storia, è una ragazza di origini montenegrine che non ha finito la scuola e per guadagnarsi da vivere imbusta insalate nella fabbrica di un grigio e freddo (e il clima ha solo una piccola responsabilità in questo) piccolo centro abitato; a casa la aspetta suo padre, che con la schiena rotta dal lavoro si occupa delle faccende di casa. Lavoro, cena, qualche sigaretta e la serata passata ad addormentarsi sul divano davanti alla TV: non sembra esattamente la vita sognata da un’adolescente della generazione post-MTV… e stavolta la prima impressione è quella giusta, perché quella di Rasa non è una vita da sogno. Ma Rasa è una ragazza forte, intraprendente, coraggiosa, e sullo schermo la vediamo non arrendersi anche quando le spietate dinamiche di un’economia a pezzi colpiscono anche la sua esistenza, lasciandola senza un lavoro a combattere con gruppi di reinserimento occupazionale, counseling e pure qualche piccolo episodio di discriminazione verso le sue origini straniere.
Un piccolo film su una piccola storia, che la sensibilità di Gabriela Pichler infonde di una forza non comune, aiutata dal fatto che alcuni degli elementi rappresentati (la provincia, la condizione di immigrata, i lavoretti per tirare avanti) sono parte della sua esperienza personale, e pulsano di una vivida realtà come i particolari della foresta d’inverno, col sole sbiadito e un parco giochi coi dinosauri di plastica che costituiscono l’unico tocco di colore (artificiale) dell’ambiente che circonda i protagonisti, esordienti o quasi ma che sotto la sua direzione sembrano scafati caratteristi.

Il resto lo fa l’interpretazione della giovane, esordiente anch’ella, Nermina Lukac, una straordinaria Rasa che si carica sulle spalle una buonissima metà della carica empatica di Eat Sleep Die, che si porta a casa meritatamente il premio di Miglior Film della Settimana della Critica in programma all’appena trascorsa 69esima Mostra di Venezia. La cosa ci insegna che quando un film piccolo piccolo ha un cuore grande e una protagonista sincera, il cinema del nuovo millennio sembra tanto il cinema del vecchio, e stavolta è cosa buona.

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