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Betrayal: pro e contro di un vero spreco

Una immagine tratta da Betrayal (Izmena)Ritmo, fotografia e materiale di primissimo livello mescolato a troppa noia e troppo superfluo. Non bastano nemmeno i corpi mozzafiato delle due attrici, che hanno fatto furore sul tappeto rosso della 69esima Mostra del Cinema di Venezia, a coprirne i difetti

Inizio diretto, senza fronzoli, una rivelazione improvvisa, un incidente premonitore, cadaveri, corpi martoriati, le anime corrotte ed il dubbio che spinge sulla via dell'autodistruzione.
Da subito tutto sembra suggerire un film dal ritmo serrato, ed invece nel giro di qualche minuto ne si nota la cadenza regolare e si imparano a riconoscerne le fasi alternate: calma piatta, calma piatta, un sussulto, calma piatta, calma piatta, un sussulto, ad oltranza.
L'esemplare messa in scena di un ipotetico elettrocardiogramma, simile a quello con cui si chiude la scena introduttiva, non si ferma qui, entrano in gioco la cardiologa, l'infarto sospetto e tutti i personaggi contraddistinti da vizi amorosi.
Sembra quasi che il ritmo del film sia metafora dei suoi contenuti, una specie di geniale messaggio non verbale meta-cinematografico.
Sempre nel capitolo del ritmo si può incastonare la magnifica, magistralmente integrata, intuizione che lega il passare del tempo al cambio di vestito e l'evocativa sequenza simbolica del temporale a metà pellicola.
Ma il regista Kirill Serebrennikov ha un punto debole: non sa quando fermarsi e quando smettere di insistere.
Gli piacciono i simboli e le metafore, e allora perché non coprirsi di ridicolo facendo incontrare gli amanti traditori in un hotel il cui logo, una grande statua vicina all'ingresso, è un cervo con enormi corna? Anche il parallelismo tra il sacco dell'immondizia e la vecchia relazione che finisce, a pensarci bene, ha un retrogusto sempliciotto e meno magico di quanto appare durante la visione.
Dalle stelle alle stalle, insomma. A volte tratta lo spettatore da sensibile acculturato, altre da volgare Pierino costretto ad essere imbeccato su concetti palesemente infantili.
In tanti son rimasti ipnotizzati dalla fotografia e dai colori, e di certo ci sono scene maledettamente affascinanti, che ti abbracciano, che non dimentichi, come la sensazionale, memorabile sequenza nella piscina ionizzata. Due minuti di blu sopra e sott'acqua, con continue variazioni di inquadratura e giochi sonori che portano lo spettatore a godimenti amniotici. Non si dimentica.
Ma in fin dei conti il difetto ritorna ancora, esagera. E' troppo evidente quanto il regista si stia impegnando a fare bene il suo compitino accademico. Vuole convincere a tutti i costi che sa dove mettere la macchina da presa, sembra continuamente nell'affanno di cercare specchi d'acqua, riflessi sulle ceramiche, sugli specchi, sugli smalti della metro, ci prova di continuo, in attesa di un ganascino, come la bambina che fa le capriole in giardino per farsi notare dalla mamma, ma riesce a tirar fuori qualcosa di sorprendete solo di rado.
Avrebbe bisogno di buoni consiglieri che gli dicessero cosa tenere e cosa buttare tra le trovate che realizza.
Sintetizzando è fin troppo evidente che la somma dei singoli elementi che costituiscono il film è cosa ben più ricca del complesso. Resta un'opera media, decisamente impotente in tutta la prima parte, che consiglio solo per i pochi picchi capaci di sorprendere anche quando oramai si è sul punto di perdere le speranze.

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