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Far East Film Festival 2019: intervista a Yao Chen

“Costruire un personaggio è come dipingere: si parte da una struttura di massima, poi si delinea l’interno e si aggiungono i colori”. Il mestiere dell’attrice secondo Yao Chen, la diva cinese protagonista di Lost, Found diretto da Lu Yue e premiata a Udine per la carriera e il suo impegno umanitario

Segni particolari: bellissima. Yao Chen è una delle stelle del Far East Film Festival 2019, premiata con il Gelso d’Oro alla carriera. Un riconoscimento che si può dire va al di là del lavoro nel cinema dell’attrice, prossima a compiere quarant’anni. Come detto al momento della consegna sul palco di Udine da Sabrina Baracetti, presidente del FEFF, Yao Chen non è solo un’attrice. È anche un’icona della moda, ambasciatrice dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per rifugiati, una delle donne più influenti al mondo, popolarissima sui social che utilizza anche come strumento per portare avanti importanti campagne di sensibilizzazione per i diritti. Una fama che ha iniziato a conquistare lavorando in serie televisive cinesi (all’incontro con il pubblico tanti giovani le ricordano di essere cresciuti ammirandola in tv), prima del passaggio al cinema, dove si è fatta notare in diversi film tra i quali in Caught in the Web di Chen Kaige. Con Lost, Found diretto da Lu Yue ha la bella occasione di confrontarsi con uno di quei personaggi che ogni attrice sogna di interpretare. Un ruolo forte, impegnativo, ricco di sfumature. Una sfida stimolante per chi ha scelto l’arte della recitazione come mezzo d’espressione. Nel film è Li Jie, una donna avvocato separata dal marito e in lotta per ottenere la custodia della figlia di due anni. Molto impegnata con il suo lavoro, trova una tata per la bambina: Sun Fang, interpretata dall’attrice Ma Yili. Una sera rientra a casa tardi e la trova vuota perché la piccola è stata rapita dalla babysitter. Li Jie inizia la ricerca di sua figlia e scopre il passato della donna.

Cosa l’ha spinta ad accettare questo ruolo?
Quando la produttrice Jessica Chen è venuta da me per parlami di questo progetto, ho detto subito sì. Secondo me ci sono pochi ruoli femminili così completi nel cinema cinese e non potevo rifiutare una proposta che si presentava davvero interessante. Li Jie rappresenta un concentrato di tante donne che conosco, ho pensato anche a loro nel costruire questo personaggio. Ma è un film universale, parla delle donne di tutto il mondo che spesso vivono sotto pressione tra gli impegni di lavoro e la famiglia. Il messaggio è di trovare se stesse in qualsiasi ambito.

Da cosa è partita per entrare in questo personaggio così sfaccettato?
Come punto di partenza è stato fondamentale parlare con la sceneggiatrice Qin Haiyan, capire profondamente il personaggio e la sua evoluzione nella storia. Sicuramente devo ringraziare anche i miei due figli, senza l’esperienza di madre forse non sarei riuscita a fare questo film nello stesso modo.

Un personaggio che compie una chiara trasformazione nell’arco del film.
Penso che costruire un personaggio sia un po’ come dipingere. Si parte da una struttura di massima, poi si delineano i contorni interiori e si aggiungono i colori. Il personaggio di Li Jie all’inizio sembra avere soltanto tonalità fredde, ma poi si scoprono anche quelle calde. È dura, ma in fondo anche fragile. Con la sceneggiatrice, ma anche con il regista e la produttrice, abbiamo studiato molto il percorso che doveva compiere il personaggio. Nella prima parte doveva emergere la sua rigidità, la sua freddezza che la fa sembrare indistruttibile. Dopo, però, cambia. Viene colpita nel suo punto debole, si frantuma in mille, annientata dal terrore quando la figlia viene rapita. È come un albero rigido, se arriva una tempesta si può spezzare. Ma questo dramma l’avvicina anche alla forza più grande, quella dell’amore.

Il suo percorso si svolge in due giorni, lei però ha dovuto viverlo ovviamente in un periodo più lungo, il tempo delle riprese. Quanto era impegnativo emotivamente tornare a essere ogni volta Li Jie considerando la vicenda drammatica raccontata nel film?
Sì, per me i giorni sono stati quaranta. La sfida più grande era vivere questo evento estremo, a livello emotivo e anche fisico. Il terrore provoca in Li Jie una tensione muscolare vicina al limite della rottura del corpo. Ogni volta rileggevo la sceneggiatura per riattaccare i fili con il personaggio, entrare nel suo stato d’animo.

Ci sono diverse scene forti, a partire dalla sequenza iniziale in cui vediamo Li Jie correre disperatamente in un sottopassaggio e rovistare in un cumulo di spazzatura. Qual è stata la più difficile da interpretare?
Quella scena sicuramente è stata molto impegnativa sotto tutti gli aspetti. Ricordo che dopo il cut del regista continuavo a tremare. Ma ancora più difficile è stata la scena della scoperta del cadavere nel freezer (della figlia di Sun Fang) dove rimango paralizzata dal terrore. Quando vedi un topo salti su una sedia, uno scarafaggio urli, ma se ti trovi davanti una tigre che fai? Non riesci nemmeno a muoverti, ti irrigidisci. Sono due scene completamente diverse a livello creativo.

Nel film divide la scena con un’altra attrice affermata, Ma Yili. Com’è stato lavorare con lei?
In realtà abbiamo poche scene insieme, i due personaggi seguono come due linee diverse nella narrazione. Comunque mi sono trovata benissimo. Ha iniziato a recitare prima di me, quando io ancora studiavo, e l’ho sempre apprezzata. Avevamo, poi, come amica in comune la produttrice Jessica Chen. Devo ringraziare anche il regista Lu Yue che rispetta moltissimo il cast e tutti quelli che hanno partecipato a questo progetto. È stato davvero un lavoro di gruppo, in perfetta armonia.

In futuro che tipo di ruoli vorrebbe interpretare?
Il mio obiettivo è sempre quello di continuare a crescere e lavorare in progetti a cui credo. Chi fa questo mestiere non deve mai sedersi e innamorarsi di se stesso, ma impegnarsi e pensare che il prossimo sarà sempre il ruolo migliore.

E ora è diventata anche produttrice.
Abbiamo aperto una piccola società, Bad Rabbit, e siamo entrati in questo film come co-produttori. Ma per dare una mano soprattutto nella distribuzione e comunicazione. Sto scoprendo ora personalmente questo nuovo lavoro nel cinema, che è davvero molto difficile. Certamente occuparsi di produzione è più impegnativo che fare l’attrice. Un mestiere di grande responsabilità dove bisogna pensare a tante cose.

A proposito di cose alle quali pensare, c’è anche la sua vita social. Con decine di milioni di follower lei è la regina di Weibo (molto utilizzato in Cina, simile per le funzionalità a Twitter).
Sono cresciuti nell’arco di dieci anni, da quando ho iniziato. In un certo senso perdi un po’ di libertà, avverti il peso della responsabilità. Ma dà anche grande soddisfazione condividere cose belle e messaggi importanti. Ormai è una parte di me, inseparabile. Se riguardo indietro e rileggo cosa ho scritto, vedo anche come sono cresciuta in questi anni.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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