Logo
Stampa questa pagina

Far East Film Festival 2019: intervista a Shunji Muguruma

“Il mio cinema suona il rock”. Il regista giapponese ci racconta JK Rock, commedia musicale su una band femminile di liceali: le ispirazioni, la scelta delle ragazze, il lavoro sul set

Shunji Muguruma si presenta in modo estremamente accogliente. Con un sorriso contagioso, trascinante. Come il rock si potrebbe dire pensando al film portato a Udine. Una commedia musicale certamente senza grandi ambizioni e costruita con i cliché più scontati, ma simpatica (a tratti spinge sul demenziale) e piena di energia come le tre giovani protagoniste che interpretano delle liceali impegnate a trasformarsi in una rock band. La loro storia si intreccia a quella di un ragazzo poco più grande, ex stella di una boy band in ascesa che ha deciso di mettere la chitarra al chiodo quando l’amico che guidava il gruppo con lui se n’è andato in America per fare successo. Gli altri due componenti, che sentono il peso della responsabilità in questo abbandono, cercano di riportarlo alla musica con l’aiuto del proprietario di un bar che ama il rock: proprio a lui viene l’idea di formare una band femminile di sedicenni e di spingere il ragazzo a diventare il loro mentore. Questa la trama di JK Rock presentato al Far East Film Festival 2019.

Il protagonista maschile studia legge dopo aver messo nel cassetto il sogno di fare il musicista. Lei a quell’età aveva già chiaro in mente l’obiettivo di diventare regista o pensava anche ad altro per il suo futuro?
Da bambino, quando frequentavo le elementari, avevo tre diversi sogni: diventare un direttore d’orchestra, studiare astronomia o fare il regista. Man mano che crescevo è aumentata sempre più la passione per i film e così già alle medie ero orientato per la terza ipotesi. Avevo deciso che avrei fatto di tutto per diventare un regista. E ce l’ho fatta.

Che film guardava e quali sono diventati i suoi registi di riferimento?
Abitavo in una città dove c’era una base delle forze navali americane (Muguruma è originario di Sasebo, prefettura di Nagasaki) e per questo motivo si trovava un bel giro di film al cinema. Il primo che ricordo di aver guardato con mio padre, avrò avuto 6 anni, è stato Il Padrino di Coppola, ma essendo così piccolo non l’avevo capito. Quando sono passati degli anni e ho avuto modo di rivederlo in televisione, mi ha colpito tanto e per vari aspetti. Compresa la colonna sonora di Nino Rota. E forse in quel momento è nato il mio forte interesse per il rapporto tra musica e cinema che c’è anche in questo film. Come riferimenti ne posso citare molti. Amo i lavori di Kurosawa, di Ozu e i grandi maestri italiani come Visconti e De Sica.

JK Rock si presenta come una commedia musicale. C’è un film di questo genere che è stato per lei fonte di ispirazione?
Sicuramente per qualcosa School of Rock con Jack Black che mi piace molto.

Soprattutto in una scena che riguarda le dure esercitazioni della batterista viene in mente un altro titolo famoso americano: Whiplash di Damien Chazelle.
Un ottimo film, ma devo dire che la principale ispirazione per questo lavoro arriva da una cosa apparentemente molto diversa. Da un vecchio manga di cui ho curato la trasposizione live action in un dorama: Jenny la tennista (Esu wo nerae! in originale). Protagonista è una ragazza, nella serie televisiva interpretata da Aya Ueto, che aspira a diventare una giocatrice di tennis e instaura con il suo duro allenatore un rapporto di lotta e amore allo stesso tempo. Volevo riprodurre quel meccanismo narrativo in una storia contemporanea, a tema musicale. E il rock, con la sua energia, era perfetto. Anche se oggi è diverso da quello che ascoltavo io da giovane (il regista è nato nel 1969).

Anche lei suona o suonava qualche strumento?
Sì, ma non gli stessi che si vedono nel film: tromba e pianoforte.

Come si è svolto il casting? Le giovani interpreti sono state scelte anche perché musiciste?
In realtà non c’è stato bisogno di alcun casting. Io le conoscevo bene già tutte e tre perché sono presenti anche nel mio precedente film, Little Perfomer: The Pulse of Winds. La bassista e la chitarrista, poi, avevano già creato una band. L’unico problema derivava dal fatto che Chihiro Hayama, la protagonista, non sapeva suonare la batteria. Io però ho subito pensato che sarebbe riuscita a imparare in pochissimo tempo. Ha molta energia, forza, determinazione e negli strumenti a percussione queste caratteristiche sono fondamentali ancor prima della tecnica. Dopo tre settimane era già pronta.

Tre personaggi che rappresentano altrettante tipologie di adolescenti: la riservata, la sognatrice, quella che non si ferma mai. Questa descrizione quanto riflette la personalità delle attrici?
Tantissimo, si può dire che sono proprio così come si vedono nel film. Ognuna ha la sua personalità che emerge simile a quella dei loro personaggi.

Ma da regista come si trova a lavorare con interpreti così giovani rispetto a quando deve dirigere attori e attrici di una certa età?
Con i giovani in un certo senso mi trovo subito più a mio agio mentre con attori di una certa età c’è una maggiore riverenza, molto importante nella società giapponese nel rapporto con le persone più grandi. Ma se cambia un po’ l’approccio, nella sostanza il lavoro resta uguale. Se devo richiedere più volte la stessa cosa, lo faccio senza problemi. Nel caso particolare di giovani senza o con poca esperienza cinematografica, come le sedicenni di questo film, cerco di prestare più attenzione alle prove per essere sicuro che tutto vada bene durante le riprese.

Da come parla del film, sembra sia un progetto che sente davvero suo anche se a differenza di altri lavori qui non firma la sceneggiatura. Come vive il lavoro da regista quando non è anche autore?
Ero all’interno del progetto sin dall’inizio e ho potuto esprimermi su molti aspetti, collaborare attivamente con la sceneggiatrice Kaori Tanimoto. Diverse mie idee sono state quindi inserite nella sceneggiatura.

È sua l’idea della Lamborghini viola presente nel film?
Già la prima stesura della sceneggiatura prevedeva l’uso di una macchina sportiva e io ho spinto per la scelta di un’auto con il tettuccio apribile. A quel punto il produttore esecutivo ha pensato dovesse essere una Ferrari o una Lamborghini. Per il budget mi sembrava troppo, ma ci ha pensato lui a trovarla. E tra il ventaglio di colori che mi ha proposto ho pensato al viola. In generale ho prestato molta attenzione al lato scenografico e ai colori del film, avendo come riferimento principale quelli netti e vividi di Ohayo di Ozu.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

LinkinMovies.it © 2012-2017. Tutti i diritti sono riservati.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.