Logo
Stampa questa pagina

A tu per tu con Frederick Wiseman

Conversazione con il leggendario documentarista americano Frederick Wiseman, Leone d'oro alla carriera a Venezia e Oscar onorario, ospite dell'Accademia di Belle Arti di Sassari dove ha raccontato agli studenti il suo metodo di lavoro: dall'esordio con Titicut Follies al recente Ex Libris

Si sente in qualche modo più scrittore che regista, anche se i suoi romanzi sono documentari. Che nascono dall’osservazione, senza un minimo di sceneggiatura. Tutto si scrive al montaggio, attraverso lo studio e la scelta delle immagini girate in precedenza. Senza idee fisse di partenza, senza voce fuori campo in aggiunta in fase di post produzione. A parlare sono le immagini e il racconto costruito con un minuzioso e coerente lavoro di assemblaggio delle sequenze che danno ritmo e senso a una narrazione che procede sempre su due livelli. Literal e abstract, usa questi termini per indicare il doppio punto di vista che segue nella creazione di una scena e finisce per diventare lo stesso dello spettatore attento che poi guarderà il film finito: il livello di ciò che effettivamente viene mostrato, literal, e ciò che quella visione suggerisce, abstract. È un aspetto sottile e determinante del lavoro di Frederick Wiseman, Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia e Oscar onorario per il contributo dato con i suoi film, una quarantina, attraverso i quali ha cambiato il genere documentario e raccontato la società puntando l’attenzione, in particolare, sulle istituzioni. Pubbliche e private. Un viaggio che ha ripercorso durante la masterclass di due giorni che il grande regista americano ha tenuto a Sassari, ospite dell’Accademia di Belle Arti  per un ciclo di incontri internazionali organizzati all’interno dell’innovativo biennio specialistico di cinema documentario voluto dal direttore Antonio Bisaccia. Da Titicut Follies, mitico film d’esordio girato in un ospedale psichiatrico giudiziario a Boston, sua città natale, al recente Ex Libris sul sistema bibliotecario di New York che dopo la presentazione all’ultima Mostra del Cinema di Venezia è arrivato nelle sale italiane il 23 aprile.

Quali sono gli aspetti che l’hanno colpita di più in questa immersione nel sistema bibliotecario?
La varietà dei servizi offerti alla comunità. Programmi doposcuola, per l’apprendimento delle lingue, corsi di computer e tantissime altre cose. Un centro di educazione e di cultura.

Quanto è legata al momento storico la scelta di un film su un’istituzione come una biblioteca, simbolo di cultura?
Nel momento in cui ho iniziato a girare il film non volevo che avesse un aspetto politico. È stata l’elezione di Trump, quando in pratica avevo finito il montaggio, a farlo diventare un film politico. La biblioteca rappresenta tutto ciò che lui, ignorante, non capisce e detesta. È aperta a tutti, si propone di aiutare sia le persone che fanno ricerca sia quelle meno abbienti, e gli immigrati. Crede nella solidarietà e nell’integrazione.

Ma, parlando di biblioteca e quindi di lettura, quali sono i suoi scrittori del cuore?
Ho sempre letto molto. Per esempio i grandi scrittori americani dell’Ottocento, come Poe e James.
 
E per quanto riguarda il cinema? Lei è considerato un maestro, un punto di riferimento per tanti giovani registi: quali sono stati i suoi modelli?
In realtà mi hanno influenzato più i libri che ho letto rispetto ai film che ho visto. Da giovane volevo diventare un misto tra Hemingway, Fitzgerald, Faulkner.

Però ha studiato e insegnato legge prima di mettersi a fare documentari.
Sì, mi annoiavo (ride). Fare film è più divertente.

Il primo, Titicut Follies, che resta uno dei suoi lavori più importanti, girato in un manicomio criminale. Come scelse il soggetto?
Il Bridgewater State Hospital era vicino all’università dove insegnavo, a Boston. Avevo già portato gli studenti a una visita all’istituto, conoscevo il posto. E anche le persone per ottenere i permessi necessari.

Ha potuto allora riprendere tutto quello che voleva?
Unica eccezione Albert DeSalvo, il famoso strangolatore di Boston che aveva ucciso tredici donne. Ci hanno fatto anche un film con Tony Curtis.

Ma come si relaziona con le persone filmate, in quel caso individui problematici?
Con i pazienti sono stato diretto, gentile, ma ho cercato di non aprirmi troppo per non illuderli che potessi aiutarli. Sarebbe stato disonesto. In generale cerco sempre di mantenere un atteggiamento professionale, una certa distanza.

Ha un metodo particolare per mettere a proprio agio chi si troverà davanti alla telecamera?
Per me è fondamentale non prendere in giro le persone, quindi far vedere gli strumenti delle riprese, trattare gli altri come vorremmo essere trattate noi. Ma non c’è un metodo particolare, a volte non entro in contatto con le persone che si trovano nel luogo delle riprese. Siamo solo io e due collaboratori, abbastanza invisibili.

Come una mosca sul muro si dice in questi casi, parlando di cinema di osservazione.
Non mi piace molto come esempio. Perché il filmmaker non sta solo osservando, ma sta continuamente prendendo decisioni. Sia durante le riprese, sia poi in modo diverso nel corso del montaggio.

Con quanto girato arriva di solito in sala di montaggio?
Accumulo tutto quello che mi sembra interessante, senza un tema prestabilito. Il massimo è stato per At Berkeley, 250 ore, mentre il minimo per High School, 65 ore.

Come si orienta poi su cosa utilizzare?
Riguardo, in sei-otto settimane, tutti i giornalieri e arrivo a ridurre il materiale del cinquanta per cento. Parte quindi la fase di concentrazione sulle sequenze che potrebbero entrare nel film ed è un lavoro che dura diversi mesi. Solo allora comincia a prendere forma la struttura e l’idea del film alla quale non penso mai all’inizio del progetto per essere più libero. Tutto nasce al montaggio che diventa una lunga conversazione con se stessi. Come uno scrittore inizia un romanzo partendo da un’idea non ancora definita e man mano scopre i personaggi e la struttura, io allo stesso modo procedo durante il montaggio che mi impegna anche più di un anno.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

LinkinMovies.it © 2012-2017. Tutti i diritti sono riservati.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.