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I migliori dieci film del 2016

Il 2016 volge al termine: la redazione tira un bilancio stilando l’immancabile classifica dei dieci film più belli dell’anno appena trascorso (pellicole uscite in sala, transitate ai festival oppure giunte a noi direttamente in home video), con la speranza che le scelte personali possano diventare una bussola per riscoprire alcune opere


I magnifici dieci di Massimo Volpe

1. Le mille e una notte - Arabian Nights, di Miguel Gomes
Ciclopico racconto tripartito sulla struttura di Una Mille e una notte, nel quale Gomes costruisce un ritratto del Portogallo moderno con un gusto per l’iperbole e per il fantastico che lasciano trasparire nella fitta trama gli aspetti politici, sociali e antropologici grazie alla potenza della metafora. Cinema di altri tempi.

2. The Hateful Eights, di Quentin Tarantino
Probabilmente il lavoro più ambizioso, più maturo e riuscito del regista americano. La straordinaria capacità narrativa e la magnificenza tecnica e stilistica rendono l’opera un monumento al cinema classico rivisitato dalla genialità di Tarantino.

3. Crosscurrent, di Yang Chao
Opera complessa, per certi versi ostica, ma che una volta scardinati i paletti lascia entrare in un racconto dove la potenza visiva ed il linguaggio personale dell’autore creano un flusso impetuoso di emozioni, assecondando il viaggio del protagonista lungo il Fiume Giallo, brodo primordiale della narrazione.

4. The Wailing, di Na Hong-jin
Conferma per uno dei registi coreani di maggior talento: horror dalle tinte forti, nel quale il Bene e il Male si rincorrono in un susseguirsi di momenti duri e cattivi e in un avvilupparsi della trama che sembra sempre voler cambiare le carte in tavola. Ne è passato di tempo da The Chaser, ma il talento di Na rimane purissimo.

5. Cock and Bull, di Cao Baoping
Un ritorno al passato per il regista cinese, grazie ad un film che fa l’occhiolino al western ispirandosi a modelli contemporanei quali Tarantino, i Coen e Ning Hao: gioco di incastri narrativi, di salti temporali e di prospettive per un lavoro che sorprende per la sua originalità e per l’abbagliante descrizione della provincia cinese.

6. Old Stone, di Johnny Ma
Opera prima di grande pregio incentrata sul racconto dalle forti tinte drammatiche della deriva di un bravo uomo alle prese con l’ottusità della burocrazia; una discesa all’inferno nella quale si tratta solo di decidere fin dove si è disposti a mettere in gioco se stessi.

7. The Handmaiden, di Park Chan-wook
Thriller storico che fa dell’eleganza e della ricerca stilistica il suo punto di forza. Il ritorno di Park è un film articolato che racconta attraverso le prospettive personali una storia d’amore lesbico che cambia spesso la sua direzione e che conferma in modo definitivo quel cambiamento soprattutto stilistico messo in atto dal regista coreano sin dai tempi di Thirst.

8. The Donor, di Zang Qiwu
Opera intrisa di una poetica violenta e drammatica, The Donor è film spietato che con lucidità indaga le contraddizioni e le problematiche sociali della Cina contemporanea attraverso il terribile problema del mercato nero degli organi umani in un crescendo di tensione e di drammaticità descritti con mano ferma e senza mediazioni.

9. The Dead End, di Cao Baoping
Tanto atteso e ostacolato nella sua uscita da problemi extracinematografici, la storia di un passato che si riaffaccia nella vita di chi aveva deciso l’autoespiazione delle proprie colpe. Thriller cupo che descrive le conseguenze del libero arbitrio non disdegnando tematiche difficili (almeno in Cina) come l’omosessualità ed il labile confine tra Bene e Male.

10. Sole Alto, di Dalibor Matanic
Come raccontare una guerra e i suoi disastri senza mostrare quasi per nulla fucili, esplosioni o morti ammazzati. Una originale scelta narrativa che, spalmando il film lungo quasi vent’anni, riporta alla luce l’odio e l’impossibilità alla pacificazione in una regione, i Balcani, nei quali la contrapposizione religiosa e di razza sovrasta ogni cosa, compreso l’amore.

10. Train to Busan, di Yeon Sang-ho
Fenomeno cinematografico dell’anno, il film coreano ridà lustro al genere zombi-movie attraverso una storia nella quale tutte le tematiche del genere, compreso quella sociale, sono solidamente rappresentate. Tutto, o quasi, racchiuso in un treno che corre da Seoul a Busan, approdo alla salvezza, il film sa coniugare spettacolarità da blockuster di qualità a tematiche universali.

Bitter MoneyDue lavori meritano una menzione speciale, non trovando posto tra i primi dieci, ma per pura ristrettezza imposta dalla scelta di limitare a dieci i titoli.
Bitter Money di Wang Bing, racconto dei flussi migratori all’interno della Cina, indirizzati verso le città dove prosperano le attività produttive, fenomeno che per il cantore supremo della Cina contemporanea non poteva non essere tema di un suo documentario. È soprattutto lo stile di Wang che si apre maggiormente al confronto coi personaggi che fa di Bitter Money un lavoro valido seppure non al livello dei migliori del regista.
Al Final del Tunel di Rodrigo Grande ha, se non altro, avuto il merito di dare un senso alla deludentissima cosiddetta Festa del Cinema di Roma, risultando probabilmente il lavoro migliore: un solido film di genere dove la tensione claustrofobica nutre abbondantemente la storia, tenuta ottimamente in piedi dalla bravura del regista, con un finale che ondeggia tra la più classica delle dark comedy e l’ironia dello splatter tarantiniano.

L’immagine simbolo di questo 2016 che si sta chiudendo è quella di Lav Diaz che riceve il Leone d’Oro a Venezia: un riconoscimento, forse tardivo ma pur sempre importante, per un autore che è uno dei capofila di quel Cinema d’autore, spesso impegnativo ma portatore di valore artistici che nel mondo della settima arte sono sempre più rari, o quantomeno nascosti.
Lav Diaz è quindi per il 2016 il paladino di quel cinema che tenta con tutte le sue forze di opporsi al mainstream dozzinale votato solo al mercato sempre più omologato ad Hollywood.
L’anno era iniziato con lo stucchevole teatrino degli Oscar rivitalizzato dalla ridicola polemica sulla esclusione dai premi di registi ed attori di colore. Per Hollywood l’anno è proseguito con la consueta ed interminabile sfilza di lavori ormai tutti uguali a se stessi, emblema di un cinema americano qualitativamente in crisi, soprattutto di idee, a maggior ragione se si prendono in considerazione le pillole di cinema indipendente americano, e quindi teoricamente svincolato dalle grandi case di produzione, che sono riuscite a far rimpiangere i blockbuster.

Il cinema europeo stenta a trovare una sua identità, dimenandosi sempre di più tra derive americanoidi e autorialità spesso astrusa, sebbene indubbiamente alcune opere, Arabian Nights in primis, hanno saputo mostrare la faccia migliore del cinema europeo.
Sul cinema italiano meglio parlarne o stendere un velo pietoso in un anno in cui i pochi nomi garanzia di qualità sono rimasti alla finestra e alcuni presunti autori di valore si sono distinti solo per le loro squallide e noiose rozze considerazioni sui premi assegnati dai festival più importanti?
Un altro grande evento cinematografico, passato naturalmente in sordina nel nostro mondo ‘occidentocentrico’, è stata la prima coproduzione sino-indiana, quel Xuanzang di Huo Jianqi che non a caso è stato il film cinese candidato agli Oscar. L’incontro di due cinematografie che possono far conto su uno sterminato bacino d’utenza e che sono di per sé portatrici di film di qualità sia tecnicamente che artisticamente, unito alle sempre più frequenti coproduzioni sino-americane,  potrebbe essere l’evento più importante degli ultimi anni nel mondo del Cinema.
Tornando al cinema d’autore, va riconosciuta ancora una volta l’importanza dei festival cinematografici, anche quelli di importanza minore, per la divulgazione di opere che altrimenti rimarrebbero tagliate fuori dalla visione non trovando una valida distribuzione soprattutto in Italia, dove comunque qualche sacca di strenua resistenza si è consolidata grazie a piccole ma tenaci case di distribuzione; attraverso queste rassegne si può legittimamente ritenere che il cinema d’autore, soprattutto quello orientale, è vivo e vegeto e cerca il suo spazio all’ombra delle grandi produzioni mainstream, addirittura agevolato da iniziative governative come quella intrapresa di recente in Cina per il cinema indipendente.
E’ troppo augurarsi per il 2017 che mainstream e blockbuster, tra i quali va detto non mancano i lavori buoni, riescano a non fagocitare il cinema piccolo, quello d’autore, quello che spesso più di altri riesce a sorprendere e a mostrare nuovi confini dell’arte cinematografica?
Ottimisti, come sempre, lo speriamo vivamente.


 

Little Sister



I magnifici dieci di Davide Parpinel

(In ordine sparso, forse cronologico, non certo di merito, questo è il mio miglior cinema del 2016)

Little Sister, di Hirokazu Koreeda
Una storia che punta al reale calore umano per dimostrare come un dramma possa trasformarsi in una gioiosa e partecipata serenità nella costruzione di una nuova famiglia.

The Hateful Eights, di Quentin Tarantino
Il regista americano, scrivendo e dirigendo una pellicola di circa tre ore, rende manifesto quanto il cinema sia ancor'oggi, soprattutto nelle sue mani, uno dei più potenti mezzi di espressione narrativa e artistica.

Neruda, di Pablo Larrain
Un romanzo in immagini, un film storico scritto con il lirismo di un cantore immortale dell'amore quale fu Neruda. Un gioco investigativo, di trucchi e misteri che riempie gli occhi dello spettatore di fascinazione e stupore.

Jackie, di Pablo Larrain
La banalità non appartiene al regista cileno. La vicenda è nota, i giorni successivi alla morte di J. F. Kennedy dal punto di vista della vedova, Jacqueline, eppure il volto traumatizzato e la fragilità dello sguardo di Natalie Portman nel consacrare il marito alla storia vibrano ed emozionano come se la storia fosse sconosciuta.

The Woman Who Left, di Lav Diaz
Dopo Tarantino, un altro ineccepibile tassello di un cinema che al giorno d'oggi profuma ancora di libertà creativa e di profondità intellettuale. Ciò ha permesso al regista filippino di dirigere la sua pellicola apparentemente imbrigliata in uno schema visivo per quasi tutta la sua durata, per poi esplodere in una costruzione di immagini sempre nuova e sorprendente nell'ultima parte.

Fuocoammare, di Gianfranco Rosi
Come nel caso di Jackie, anche per il documentario di Rosi la banalità e la visione facile sono lasciate da parte per privilegiare una messa a fuoco che racconta tutti i segmenti di vita globalmente intessuti nel concetto di migrazione.

Frantz, di François Ozon
Personalmente il film che non mi aspettavo. Un percorso nella memoria e nella verità dei sentimenti che ingloba riferimenti storici, vicende personali, incomprensione umana e vittimismo nella riuscita volontà di rendere universale una vicenda personale.

The Donor, di Zang Qiwu
Dalla Cina arriva questa opera prima freddamente emotiva che nei vuoti verbali dei dialoghi e dei confronti tra i protagonisti raggela e impietrisce molto più di mille parole. Non ci sono sguardi a raccontare la vicenda, ma solo i corpi degli uomini piegati e spezzati dalle decisioni della vita.

Elle, di Paul Verhoeven
Un dramma atipico che cerca con successo di scrollarsi di dosso gli stereotipi sociali e di immagini nel raccontare di uno stupro. È un film pensato e ragionato che raggela e impietrisce conducendo chi osserva nei più nascosti pensieri della psiche umana.

The Young Pope, di Paolo Sorrentino
Se le serie televisive sono il regno del controllo della sceneggiatura in cui il regista è un narratore con poche libertà, Sorrentino dimostra come la creatività, l'improvvisazione, il saper creare il cinema possano conquistare agevolmente questo regno. Nelle mani del regista italiano Jude Law si consacra come un grande attore.


 

The Handmaiden



I magnifici dieci di Adriana Rosati

The Handmaiden, Park Chan-wook
Cinema che emoziona, diverte e riempie gli occhi di sontuosa bellezza. Park Chan-wook miscela con maestria elementi di mainstream con elementi di film di genere in questa elaborazione del romanzo Fingersmith e aggiunge legna nazionalista al fuoco erotico, riposizionando la storia durante l’occupazione giapponese in Corea.

The Wailing, di Na Hong-jin Na
Eccellente terzo film di un regista in parabola ascendente, The Wailing è un viaggio senza ritorno attraverso l’orrore dell’incertezza paralizzante. Non c’è salvezza dalla nostra miopia nel distinguere tra Bene e Male. Un horror sui generis che raggela e va a stuzzicare quelle paure ancestrali che dormono nel nostro subconscio.

Train to Busan, di Yeon Sang-ho
Ovvero quando il cinema di genere azzecca tutti gli ingredienti e scodella un formidabile viaggio mozzafiato a sfondo sociale che incolla alla poltrona e affonda i denti profondamente. In ogni senso.

Personal Shopper, di Olivier Assayas
Il regista vola libero da un genere all’altro in questo film dove persone, case, affetti, telefoni e vestiti sono posseduti da eteree entità. Tutto da scovare in questa bella metafora. Tutto da godere.

Your Name, di Makoto Shinkai
Campione di incassi, miglior anime del 2016 per me. Pieno di spunti e generi, disastri, scambi di corpi, viaggi nel tempo e nello spazio, J-pop e tradizione. Sorretto da una spiritualità che soddisfa i fan desolati di Miyazaki e da illustrazioni oniriche della qualità solida e costante che conoscevamo già in Shinkai.

Arrival, di Denis Villeneuve
Un blockbuster hollywoodiano di fantascienza con un’anima bella, Arrival si avvale di una storia interessante ed ellittica, adattata da Ted Chiang, per lasciare da parte armi spaziali e missili e parlare invece di linguaggio e comunicazione con l’Altro.

Nocturnal Animals, di Tom Ford
Elegantemente sinistro, si insinua sottopelle come un parassita. Una storia nella storia, una vendetta sardonica servita fredda con grande stile. Favoloso cameo di Laura Dern.

Frantz, di François Ozon
Ozon racconta una storia estremamente moderna nonostante l’ambientazione nel 1919. Il film prende colore e passa da un primo atto dove la morte è primadonna ad un secondo dove con forza prorompente il lutto si trasforma in perdono, affrancamento e vita. Grande prova dell’attrice tedesca Paula Beer.

Hunt for the Wilderpeople, di Taika Waititi
Una strana coppia formata da un bambino di città e un vecchio brontolone non è certo una novità cinematografica, ma questa piccola gemma dello scanzonato regista neozelandese brilla per la grande alchimia, il rustico senso dell’umorismo neozelandese e una natura da togliere il respiro.

Certain Women, di Kelly Reichardt
Malinconica ironia in tre storie di donne che implacabilmente sopportano i loro scomodi ruoli. Un film minimalista e delicato con un cast stellare, eppure è la novella attrice nativa americana Lily Gladstone a riempire lo schermo di pathos e bellezza e ad elevare l’ultimo episodio a migliore dei tre.

The Woman Who LeftIl mio 2016 è stato per vari motivi un anno di molte visioni ma di poco assortimento. Molta Corea (per una serie di coincidenze), vari festival e pochissimo in sala (purtroppo) e di conseguenza la mia lista dei magnifici 10 va a pescare in questo stagno.
Non ho abbastanza elementi per dare un giudizio esaustivo sul 2016 (soprattutto nelle sale italiane) ma osservando i film che hanno trionfato nei maggiori festival mi sembra che sia stato un buon anno e che film intelligenti e stimolanti siano riusciti a farsi strada tra le proposte più ovvie, basti pensare ai vincitori di Venezia, The Woman Who Left (Lav Diaz), e Torino, The Donor (Zang Qiwu).
Sono sicura di essermi persa molti ottimi film che rincorrerò in DVD per tutto l’anno prossimo, ma i 10 che ho scelto mi hanno emozionato e sono rimasti dentro come fantasmi persistenti, a innescare dubbi, commozioni e riflessioni.
Vorrei menzionare, fuori lista, anche After the Storm (Hirokazu Koreeda) e Yourself and Yours (Hong Sang-soo) che mi sono piaciuti molto ma questi due registi, senza nulla togliere nulla alla qualità delle loro opere, tendono a produrre ‘variazioni sul tema’ penalizzando un po’ l’effetto ‘stupore/novità’.


 

Il caso Spotlight

I magnifici dieci di Fabio Canessa

Little Sister, di Hirokazu Kore-eda
Ancora la famiglia, tema caro all'autore. Questa volta lo sguardo è su un universo tutto femminile, raccontato con la solita sensibilità e una poetica naturalezza che ricorda il grande cinema classico.
 
Wiener-Dog, di Todd Solondz
Quattro storie legate solamente dalla presenza di un bassotto, però capaci di formare un corpo unico che ben racchiude tutto il cinema di Solondz: cinico ma anche profondamente umano.

Wilde Salomé, di Al Pacino
Originale viaggio nel cuore dell'opera di Oscar Wilde e nell'anima creativa di un genio della recitazione che ha anche il merito di scoprire il talento di Jessica Chastain, memorabile Salomé.

The Woman Who Left, di Lav Diaz
Sintesi perfetta di contemplazione e narrazione per quattro ore che volano, avvolti da un'esperienza cinematografica di grande forza visiva, evocativa e pregna di realismo.

In Dubious Battle, di James Franco
Coinvolgente, emozionante, politico. Dal romanzo di Steinbeck, un'opera che segna un punto di svolta nell'approccio di Franco alla grande letteratura americana.

Le stagioni di Louise, di Jean-François Laguionie
Il nuovo lavoro del maestro francese è la perla dell'anno per quanto riguarda il cinema d'animazione. Una delicata e poetica riflessione sulla terza età.

Al di là delle montagne, di Jia Zhang-ke
Cambiamenti e sradicamento. Il cinema di Jia ruota sempre attorno a questi grandi temi, ma si rinnova costantemente e trova sempre una straordinaria efficacia.

Il caso Spotlight, di Tom McCarthy
Un film che entra di diritto tra i migliori del filone legato al giornalismo d'inchiesta. Una scomoda verità raccontata con toni asciutti, stile rigoroso e ritmo incalzante.

Hell or High Water, di David Mackenzie
Il genere, con i suoi codici, per raccontare un pezzo di America di oggi. Un western moderno, con sottofondo di critica sociale, sorretto da una sceneggiatura molto ben congegnata.

Safari, di Ulrich Seidl
Il regista austriaco continua la sua implacabile osservazione della natura umana, con il solito sguardo grottesco, lucido e disturbante.

Gran parte delle classifiche sui migliori film del 2016 prendono come riferimento soltanto i titoli usciti in Italia, altre preferiscono limitarsi ai lungometraggi che risultano effettivamente dell'anno che sta per concludersi. Il nostro criterio abbraccia invece sia film distribuiti sul territorio nazionale durante il 2016 sia lavori inediti ma visti ai festival sempre nell'arco dell'anno in corso. Da qui l'inserimento di film del 2015 come Little Sister, Il caso Spotlight e Al di là delle montagne arrivati nelle nostre sale italiane con un po' di ritardo e di Wilde Salomé che addirittura risale al 2011 ma soltanto lo scorso maggio si è potuto vedere in qualche nostro cinema. Per lo stesso motivo troverebbero posto nella mia classifica anche The Assassin di Hou Hsiao-hsien e 1981: Indagine a New York di J.C. Chandor, lasciati fuori semplicemente perché già inseriti nella top ten dell'anno scorso. Per quanto riguarda un giudizio generale, come sempre soffre della mancanza di tante visioni perse. In attesa dei recuperi, voto globale: 7.


 

Weiner-Dog

I magnifici dieci di Simone Tricarico

The Woman Who Left, di Lav Diaz
Lav Diaz realizza un dramma potente e tecnicamente impeccabile, che analizza con sensibilità e grande fascino evocativo la fragilità della condizione umana. Autentico, toccante, mai didascalico, forse con qualche concessione in più rispetto alla sua poetica più pura e rigorosa, ma con una forza espressiva che regala sempre straordinarie emozioni.

Wiener-Dog, di Todd Solondz
Si attendeva da tempo il ritorno di Todd Solondz, e il grande autore statunitense ricompensa l’attesa con un film piccolo e prezioso, che spiazza costantemente lo spettatore alternando il consueto cinismo a momenti di commovente sensibilità. Un nuovo pregevole tassello nella filmografia senza compromessi di uno dei pochi registi in grado di raccontare con tagliente ironia miserie e disperazioni che affliggono la nostra società.

Train to Busan, di Yeon Sang-ho
Ancora una volta il cinema asiatico gioca con i generi, rivisitando lo zombie-movie e caricandolo di connotazioni sociali e attualità. La conferma che l’intrattenimento è anche sinonimo di qualità, e che i grandi blockbuster possono coniugare perfettamente spessore narrativo e spettacolo.

Io, Daniel Blake, di Ken Loach
Ken Loach ha ancora la forza di fare un cinema militante e schierato, che denuncia le ingiustizie di una società sempre più disumanizzata. Il suo ultimo lavoro (Palma d’Oro a Cannes) è un vibrante pamphlet contro il sistema sanitario britannico, una macchina spietata che stritola le persone con una burocrazia asfissiante, riducendole a semplici numeri. Il regista inglese conferma la felice collaborazione con lo sceneggiatore Paul Laverty, realizzando una pellicola di denuncia che è anche un inno toccante alla dignità, al conforto e al sostegno reciproco.

Dentro l'inferno, di Werner Herzog
L’ennesimo imperdibile documentario di Werner Herzog che, dopo le meraviglie del mondo digitale raccontate in Lo and Behold, si dedica alle altrettanto stupefacenti bellezze del pianeta Terra. Un viaggio mozzafiato attraverso alcuni vulcani attivi sparsi per il mondo, in cui l’elemento naturalistico funge come al solito da spunto per indagare e riflettere su aspetti profondamente umani, mescolando scienza, antropologia e suggestioni poetiche con incisiva forza visiva.     

El abrazo de la serpiente, di Ciro Guerra
Liberamente ispirato ai diari dell’etnologo tedesco Theodor Koch-Grunberg, che all’inizio del secolo studiò le popolazioni indigene del Sud America, il film di Ciro Guerra (prima pellicola colombiana ad essere nominata agli Oscar come miglior film straniero) è un visionario affresco sul mondo primordiale e dimenticato delle culture amazzoniche. Un potente saggio sulla sete di conoscenza, ma anche un viaggio enigmatico in una natura oscura e impenetrabile, filmata con un bianco e nero suggestivo e carico di fascinoso mistero.

Le stagioni di Louise, di Jean-François Laguionie
Le stagioni di Louise ripropone l’animazione poetica e soffusa di Jean-François Laguionie, offrendo una deliziosa e introspettiva riflessione sulla solitudine e l’identità. Un lavoro carico di simbolismo e ricco di elementi surreali, in cui la dimensione del reale è filtrata dai ricordi, sfumata come in un quadro impressionista. Una ricerca del tempo perduto che alterna tenerezza a una sottile vela di malinconia e, pur cedendo a qualche eccesso retorico, regala emozioni e momenti di spiazzante dolcezza.  

Bitter Money, di Wang Bing
Wang Bing torna a raccontare le contraddizioni della Cina moderna con un documentario sui lavoratori tessili che si spostano verso le province più produttive alla ricerca di un salario con cui sopravvivere (il denaro amaro del titolo). Un colossale flusso migratorio dettato dalle necessità economiche, che scardina e stravolge intere vite in una società apparentemente ostile e indifferente. Bing segue i suoi personaggi con insolita vicinanza, rappresentando tutte le incongruenze e le difficoltà di esistenze precarie e totalmente in balia della contingenza. Forse non il miglior prodotto dell’autore, ma sicuramente un possente sguardo sulla realtà a cui non si rimane indifferenti.    

The Witch, di Robert Eggers
Esordio fulminante per Robert Eggers, che debutta con un horror atipico e disturbante, in grado di coniugare l’ambientazione storica con quella sovrannaturale. The Witch rielabora efficacemente il tema della stregoneria inserendola all’interno delle dinamiche familiari, disintegrando i legami e creando un livello di tensione e inquietudine costante. Una pellicola che non indaga solo gli aspetti esoterici, ma che analizza la fascinazione senza tempo esercitata dal maligno nell’immaginario dello spettatore.

Austerlitz, di Sergei Loznitsa
Un pellegrinaggio tragico e sconvolgente attraverso i luoghi simbolo dell’Olocausto profanati dal turismo di massa. Loznitsa filma con distacco quasi entomologico scene di surreale e sconsolante indifferenza, rinunciando a ogni forma di costruzione narrativa, e affidandosi unicamente a inquadrature fisse che seguono le folle di visitatori. Un’opera difficile e a tratti insostenibile, che colpisce forte lo spettatore immergendolo in un’atmosfera oppressiva di disagio crescente. Una riflessione spietata e sconsolata sul ruolo della memoria nella società moderna.

L’anno che volge ormai al termine si è rivelato ricco di pellicole di buona qualità, che hanno attraversato vari generi proponendo piacevoli sorprese. Basti pensare a un filone lungamente maltrattato come l’horror, impreziosito finalmente da lavori interessanti come The Witch e Train to Busan. Lontano dall’essere una classifica completa ed esaustiva, la lista riflette comunque la grande varietà dell’annata cinematografica, che spazia dai documentari ai prodotti più rigorosamente d’autore, senza dimenticare il mondo dell’animazione. Il circuito festivaliero costituisce come sempre una fonte importante di riferimenti stimolanti, ma anche il cinema indipendente si è dimostrato vitale (come con il sempre caustico Todd Solondz). Seppur con i soliti problemi legati alla poco lungimirante distribuzione italiana, la stagione filmica nelle sale ha saputo offrire opere di spessore, con una molteplicità trasversale che fan ben sperare per l’imminente 2017.

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