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Cinque registi davvero indie

Tutti ne parlano, tutti lo applaudono, tutti se lo godono, ma cos'è davvero il cinema indie? Quali sono le sue caratteristiche e chi sono i suoi interpreti? Indaghiamo questo universo attraverso cinque registi che, forse, incarnano davvero lo spirito indie

Diciamo la verità: le produzioni cinematografiche indipendenti, comunemente chiamate indie, ci piacciono molto. Ad oggi rappresentano una solida realtà, perché il coraggio delle loro idee, la forza delle loro immagini, gli spunti di riflessione forniti hanno conquistato in breve tempo il pubblico e costituiscono una valida alternativa alle storie narrate dalle major americane ed europee. Al primo sguardo di un bel film indie tutti noi percepiamo subito l'ampia libertà di espressione dei registi, la loro possibilità di raccontare al meglio ciò che li stimola, il loro punto di vista narrato senza fronzoli, senza scene madri, senza facili e lacrimose emozioni sospinte da una musica incessante.
Nell'ampio mercato degli Stati Uniti il mercato indie, inoltre, ricopre sempre più spazio, grazie anche alla copertura offerta da due festival cinematografici di ottima qualità e successo di pubblico, il Tribeca Film Festival e il Sundance Film Festival. A confermare la crescente importanza della proposta indie vale la pena di ricordare il caso del film Re della terra selvaggia, diretto da Benh Zeitlin, che nel 2012 ha vinto il Sundance, per poi aggiudicarsi qualche mese dopo la Camera d'Or al Festival di Cannes e arrivare in pompa magna con quattro nominations alla cerimonia degli Oscar 2013.
Facciamo un po' di nomi, quindi. John Cassavetes è forse stato più di tutti l'icona del cinema indie. Tra i contemporanei non possiamo non citare Gus Van Sant e prima di lui Jim Jarmush con i suoi film metaforici e silenziosi. Dopo di loro è arrivata la regina Sofia Coppola, e ad oggi il gruppo è aumentato, a partire proprio da un'altra Coppola, Gia, nipote di Sofia nonché cugina di Nicolas Cage, e dal polivalente James Franco. A ruota seguono Harmony Korine, Kelly Reichardt e il freddo e algido Alexander Payne.

L'elenco è ancora lungo e pieno di idee. Vi proponiamo, quindi, i cinque registi (anzi sei) forse più indie in circolazione.

 

5. Susan Buice e Arin Crumley

Questi due sono davvero indie. Il loro film Four Eyed Monsters è stato presentato in anteprima al Slamdance Film Festival nel 2005 ed è sinceramente realizzato con una bassa qualità digitale in MiniDv tra Brooklyn e Manhattan, con alcune scene girate in altri stati americani. Questa è la tecnica, ma il successo della pellicola non si deve certo a questo, ma al modo in cui è arrivato al pubblico. Dopo il successo al Slamdance, infatti, i due registi pensarono di poter trovare un distributore, ma non fu così. Allora scelsero di sviluppare 13 episodi sulla creazione del film attraverso l'on-line. L'attenzione ricevuta fece in modo che Four Eyed Monsters fosse rilasciato da iTunes, poi venduto in DVD e infine trasmesso da IFC TV. Nel 2009, infine, il film dei due registi americani divenne la prima pellicola in assoluto a essere trasmessa su YouTube. Nel 2010, poi, il film è stato pubblicato su VODO, un canale di distribuzione indipendente dei film su Internet, con una licenza aperta attraverso cui chiunque può ridistribuire e modificare a piacimento la pellicola. Susan Buice e Arin Crumley, quindi, sono esponenti di un indie che non considera le qualità tecniche o narrative della pellicola, ma il modo con cui hanno raggiunto la visibilità, utilizzando, quindi, varie strategie di web-related per la distribuzione. Un modo 2.0.

 

4. Ben Lewin

Sembra un principiante, ma è un vecchio regista americano di quai 70 anni. Al 30esimo Torino Film Festival ha sbalordito tutti con The Sessions, film, tanto atteso, che narra di Mark O’Brien, costretto a vivere in un polmone acciaio. L'uomo è arrivato alla soglia dei 38 anni con il desiderio di avere il suo primo rapporto sessuale. La sessione del titolo, quindi, è prettamente sessuale, perché The Sessions è anche un film sul sesso. Durante la pellicola se ne vede molto e assume quasi un potere liberatorio, di rinascita, di vita contro ogni integralismo. Il film non è diretto in maniera coinvolgente, né innovativa, ma muove da una semplice considerazione, ossia dall'esigenza del regista di narrare le difficoltà della vita di un uomo, interpretato con molta convinzione da John Hawkes, che vuole godersi la vita come tutti. Per questo le scene di sesso sono belle, perché naturali, quasi originali. Ben Lewin è un regista indie.

 

 

3. Henry Alex Rubin

Nasce documentarista, ma si afferma come regista molto lucido nel descrivere la società di oggi. Con Murderball ricevette una nomination come Miglior Documentario agli Oscar del 2005, ma il successo l'ha ottenuto con Disconnect, presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema 2012. Il film narra del potere di Internet sulle vite e le coscienze degli uomini americani nella società contemporanea, attraverso le storie di un erotomane del web, di una coppia a cui è stata rubata l'identità e di un ragazzino timido vittima del cyberbullismo. L'essere indie del regista si percepisce proprio dal contesto di questo film, la Rete. Più che una critica, Rubin suona un campanello d'allarme, una riflessione libera e spontanea: quanto tempo l'uomo sottrae alla sua vita reale, per passarla davanti al pc o al telefono? Fin dove arriva l'etica quando i genitori spiano sul web la vita di loro figlio che vive nella stanza accanto a loro? Questi sono alcuni degli spunti lanciati dal regista nel suo primo lungometraggio, impresse sullo schermo come nel film le parole delle chat dei protagonisti. In Disconnect non c'è retorica, ma solo desiderio di pensare.

 

2. Derek Cianfrance

Con poche pellicole all'attivo, ma sempre con il Sundance nel destino, citiamo l'americano Derek Cianfrance. Il suo primo lungometraggio, Brother Tied, storia conflittuale e travagliata tra due fratelli, Cal e Aaron, presentato al festival indie nel 1998, non è stato reputato valido di distribuzione per un presunto scarso appeal. Solo questo potrebbe eleggere Cianfrance un regista indie. In realtà ciò che lo rende tale è quello che racconta. In Blue Valentine (2010), la cui produzione ha avuto numerosi, quasi epici, intoppi economici, il regista americano ha continuato la sua analisi sui difficoltosi rapporti di coppia nella società americana, spostando la sua attenzione su Dean Pereira e Cindy Helle, interpretati rispettivamente da Michelle Williams e Ryan Gosling. In questa storia di amori, tradimenti, sospetti, e sconfitte, Cianfrance racconta la solitudine del protagonista di fronte alle persone di cui tende a fidarsi ma che puntualmente lo deludono. Con Come un tuono (2012), interpretato da Gosling insieme a Eva Mendes e Bradley Cooper, il nostro regista consacra la sua bravura narrando la storia del reietto Luke che cerca di redimersi dopo l'arrivo di un figlio, ma se nel DNA di una persona c'è la criminalità e la violenza, il suo cambiamento sarà complesso... Con il suo stile asciutto e la sua capacità di analisi psicologica di personaggi ai margini dell'America, Cianfrance è di diritto un regista indie.

 

1. Todd Solondz

Il cinema dell'ateo di origine ebraica Todd Solondz nasce dalla sua esperienza di insegnate di inglese ai profughi russi. E' così che il regista riesce a capire le contraddizioni del sistema americano e il modo in cui scoraggia e indebolisce il suo popolo. Nella sua carriera da cineasta iniziata con un premio al Sundace nel 1996 per Fuga dalla scuola media ha spesso scelto i bambini e i ragazzini, che non sono i freaks delle pellicole di Korine, bensì le vittime del bigottismo della piccola borghesia americana. Se quindi in Fuga dalla scuola media racconta la vita emarginata e triste di una ragazzina undicenne derisa dai compagni, con Happiness del 1998 filma il suo codice visivo. Tra le villette a schiera, tra i giardinetti curati, tra i sorrisi larghi degli abitanti che vi abitano si celano storie di pedofilia, abusi sessuali, frustrazioni e tanto senso di sconfitta nei confronti di una società che uccide. Il film troverà un seguito in Perdona e dimentica del 2009 in cui Solondz ripercorre la vita della famiglia protagonista di Happiness sempre più lacerata. Con Dark Horse (2011) i toni si fanno un po' più lieti, seppur sempre caustici e cinici nel raccontare di due giovani eterni bambini in difficoltà nel superare l'adolescenza. Insomma, il buon Solondz ci smaschera l'America che Hollywood non racconta attraverso l'occhio di bambini disillusi ma pieni di speranze.

 

 




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