News, recensioni, approfondimenti sul cinema asiatico

Ti trovi qui:HomeCinema e dintorniAsiaFires on the Plain - Recensione (Venezia 71 - In concorso)

Fires on the Plain - Recensione (Venezia 71 - In concorso)

Shinya Tsukamoto si cimenta con il genere bellico, portando sullo schermo un romanzo di Shohei Ooka, già fonte di ispirazione per un film di Kon Ichikawa. Il risultato è un'opera potente che fa percepire senza retorica l'orrore della guerra

Aveva in mente questo film, lo racconta lui stesso, da molto tempo. E inconsciamente forse fin da ragazzo, prima di diventare regista. Quando ancora studente aveva visto l’adattamento cinematografico di Kon Ichikawa che, nel 1959, portando sul grande schermo la storia raccontata nel libro di Shohei Ooka, firmava uno dei suoi capolavori. Lo fa ora, da regista ormai affermato, mantenendo lo stesso titolo, Nobi (Fires on the Plain), senza stravolgere le fasi cruciali della storia, ma con il suo stile. Lo stile di un maestro del cinema contemporaneo. Che scrive, dirige, si occupa del montaggio e della fotografia, e qua interpreta anche il ruolo del protagonista, personalizzando ogni opera. Uno di quegli autori (pochi) il cui nome nei titoli di testa fa già scattare l’applauso dei cinefili più esigenti: Shinya Tsukamoto.
La vicenda si sviluppa verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, in un’isola delle Filippine. L’esercito giapponese è ormai in ginocchio, schiacciato dalla controffensiva dei guerriglieri locali e delle forze alleate. Il soldato Tamura soffre di tubercolosi e viene abbandonato dal suo plotone. Quando l’ospedale mobile dove gli è stato ordinato di andare viene distrutto da un attacco nemico, Tamura scappa nella giungla. A un certo punto viene raccolto da alcuni soldati giapponesi di passaggio che stanno cercando di raggiungere un punto di raccolta per poi lasciare l’isola. Gli dicono che per sopravvivere hanno mangiato anche carne umana.
Ripensando al vecchio capolavoro di Ichikawa, ancora prima di aver questo film si poteva scommettere su questa storia adatta a Tsukamoto per le caratteristiche oniriche del racconto. Il regista accentua, com’era prevedibile, i toni allucinatori. Con momenti di delirio visivo, violenza estrema, tinte horror, e un gran lavoro sul suono. Un film di Tsukamoto al cento per cento, insomma, coerente con la cinematografia precedente, che allontana i dubbi della pre-visione basati sui possibili vincoli legati al genere bellico. Fires on the Plain è un viaggio all’inferno. E non per il sangue che non manca, per i cadaveri ammassati, mutilati. Sconvolge prima di tutto l’indagine dell’animo umano e del suo degrado, la brutalità con la quale mostra l’uomo che regredisce allo stato animale, cosa è disposto a fare pur di sopravvivere. Il tentativo di resistere a tutto questo del protagonista Tamura (un ottimo Tsukamoto anche attore) si sbatte contro una situazione senza via d’uscita. Ci si sente, insieme a lui, in trappola. All’interno, come da contrasto, della natura più libera e selvaggia.

Insomma Tsukamoto vince una sfida non facile cimentandosi con il genere bellico. Sempre pieno di insidie. Non certo il suo film migliore, ma un’opera potente che fa percepire senza retorica l’orrore della guerra e tiene incollati allo schermo dall’inizio alla fine. Per i cine-cannibali un buon pasto, capace di saziare almeno un po’ la fame provocata dal menu, non eccezionale, offerto dal concorso della 71esima Mostra del Cinema di Venezia, dove il film è stato presentato in anteprima mondiale.

Vai alla scheda del film

 

Lascia un commento

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.

Questo sito utilizza cookie per il suo funzionamento. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi avere maggiori informazioni, leggi la Cookies policy.