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Incontro con Hirokazu Koreeda per Like Father, Like Son

Conversazione con il cineasta giapponese, che ci parla del suo nuovo film premiato al Festival di Cannes, del suo sguardo sul mondo dell'infanzia e dei suoi inizi da regista

Like Father, Like Son. Il titolo internazionale del suo ultimo, stupendo film potrebbe essere usato anche come slogan per definire Hirokazu Koreeda e il suo cinema. Tale padre, tale figlio. Anzi sons, perché di figli l'autore giapponese ne ha già tanti. Tutti bellissimi. Film caratterizzati da una sensibilità, una lucidità, una poesia che quando hai la fortuna di incontrare il regista ti accorgi essere emanazione diretta di una grande persona e non il semplice prodotto di un grande professionista. Almeno è questa l'impressione che ti lascia Koreeda. Basta sentirlo parlare, anche solo per poco tempo, e cresce l'ammirazione nei suoi confronti, già tanta per via delle sue opere che ne fanno uno degli autori più importanti degli ultimi vent'anni.

L'omaggio al cineasta giapponese è tra le cose più belle del Festival del Film di Roma 2013: una giornata particolare iniziata con le proiezioni di I Wish e appunto Like Father, Like Son prima dell'incontro del regista con la stampa e il pubblico della sezione Alice nella città.
Al centro del discorso il suo ultimo film, vincitore quest'anno del Premio della Giuria a Cannes. Manco a dirlo è il film più bello visto anche a Roma, arrivato come una benedizione a fine festival a riconciliare con il grande cinema gli appassionati più esigenti dopo giorni di visioni non particolarmente memorabili. Un film che ha entusiasmato un po' tutti, così come aveva colpito Steven Spielberg (presidente della giuria a Cannes) pronto già a un remake. "A settembre – racconta Koreedaho firmato un contratto con la DreamWorks e il film dovrebbe essere realizzato tra uno o due anni". Brutta notizia per chi non ama l'idea di queste operazioni, di questi remake americani che si stanno moltiplicando recentemente. Scarse idee e rifacimenti (quasi) sempre da dimenticare. Preoccupante, forse ancor di più, un'altra rivelazione: quella di una produzione inglese pronta a rifare Nessuno lo sa (Nobody Knows), il suo film più noto, capolavoro del 2004 grazie al quale molti appassionati hanno iniziato ad avvicinarsi al cinema dell'autore giapponese. Per i più intransigenti la speranza è in slittamenti continui, tipo quelli che caratterizzano il suo After Life in attesa da quindici anni di un remake targato Fox. Certo se la cessione dei diritti aiuta poi Koreeda a realizzare i suoi lavori, in fondo si può essere contenti.
Ma come adattare la storia di Like Father, Like Son al contesto americano? "Non sarà facile. Per esempio il rapporto in qualche modo subalterno della moglie rispetto al marito che prende le decisioni, in una delle due famiglie protagoniste, sarebbe meno credibile",  sottolinea Koreeda che risponde anche alla curiosità di chi chiede notizie sui possibili interpreti ("niente di definitivo, ma per il padre della famiglia più agiata si è pensato a Tom Cruise, Christian Bale o Brad Pitt, mentre per l’altro a Jack Black") e alla domanda su quale remake farebbe eventualmente lui dei film di Spielberg ("forse A.I. Intelligenza Artificiale"). 

Ma il tempo è prezioso, troppo per sprecarlo parlando solo dell'argomento remake (chi scrive arraffa il microfono un paio di volte per sfruttare l'occasione e fare qualche domanda). Terminata da poco la visione si hanno ancora negli occhi, nella mente, nella pancia le emozioni di Like Father, Like Son. Un film che per ammissione dello stesso regista prende spunto da elementi autobiografici: "Dal rapporto con mia figlia che ha sei anni come i bambini del film – racconta Koreeda –. La sua nascita mi ha regalato ovviamente grande gioia, ma anche portato tanti dubbi. Se mia moglie si è subito sentita madre, io ho avuto una reazione diversa, non mi sono sentito cambiato tanto e ho capito che avrei impiegato più tempo per costruire un legame con lei. Per diventare davvero padre. Il mio lavoro mi porta spesso lontano da casa e quando giravo I Wish lei aveva quattro anni e non l'ho vista per un mese e mezzo.  Tornato a casa, mi sono reso conto che il nostro rapporto era cambiato, si era in qualche modo resettato. Partendo da questa esperienza personale ho proposto nel film il tema dell’importanza del tempo trascorso con i figli rispetto al semplice legame di sangue".
Per questo la storia si basa sullo scambio di culle, fatto non così raro come si potrebbe pensare. Ancora abbastanza diffuso nel passato recente. "Mi sono documentato leggendo diversi articoli di giornale – ricorda Koreeda –. Si capisce che alla fine, nella maggior parte dei casi, le famiglie decidevano di fare lo scambio e troncare ogni rapporto. La scelta del legame di sangue, un valore tradizionale forse più sentito in Giappone, dove tra l'altro il sistema delle adozioni non è ancora fortemente radicato". Il sangue rispetto al tempo passato con i figli che crea un rapporto. E sul tempo il film riflette attraverso due figure paterne molto particolari: "Una proiettata continuamente nel futuro, l'altra che sceglie di vivere il presente. Forse si può usare questa chiave di lettura: rappresentano un po' le due facce della  società giapponese".

La famiglia, con uno sguardo molto attento sul mondo dell'infanzia. Una delle caratteristiche del cinema di Koreeda, evidente nei due film presentati a Roma. “Mi interessa il modo di guardare il mondo dei più piccoli, filtrare tutto attraverso i loro occhi , vedere le cose da una prospettiva diversa da quella degli adulti", confessa il regista. La cosa gli riesce benissimo. Non solo per una sensibilità unica nella narrazione, ma anche per il modo incredibile in cui dirige i bambini così bravi e naturali nei suoi film. "In realtà non è facile dirigerli, è un processo lungo. Non do loro la sceneggiatura, tanto non capirebbero bene, ma cerco di tirare fuori le parole e le espressioni che usano nella vita quotidiana. La naturalezza. Per esempio uno dei bambini, Ryusei, diceva spesso 'Oh my God' come il suo personaggio nel film, o ripeteva spesso 'Perché?' e da questo è nata una scena importante.  Quando poi giriamo, mi metto accanto a loro, descrivo cosa devono fare e vediamo come esce. Un aiuto fondamentale viene anche dagli attori adulti che instaurano con i bambini un rapporto vero e capiscono come interagire con loro. Sul set si forma un legame di amicizia dove tutti abbiamo un obiettivo comune”.

Un'interazione che funziona perfettamente come dimostra la visione dei due film presentati a Roma, che sono anche i suoi due ultimi lungometraggi, cronologicamente separati dalla realizzazione di una miniserie televisiva uscita in Giappone l'anno scorso: Going My Home. Anche qua non manca il tema della famiglia. Un prodotto televisivo "ma per me è stato lo stesso – dice Koreedanon ho avuto nessuna limitazione, ho lavorato con persone con le quali avevo già fatto dei film. L'audience purtroppo non è stato buono, però mi sono divertito molto. Sono cresciuto con i dorama (le serie tv giapponesi, ndr.)". La domanda, dopo questa rivelazione, arriva spontanea: e quali sono invece i riferimenti cinematografici? Koreeda evita il paragone con Yasujiro Ozu del quale viene spesso considerato l'erede e racconta dell'importanza della scoperta del cinema italiano nel suo percorso da regista: "Volevo diventare uno scrittore in realtà. Durante l'università, a un cineforum vicino, ho visto due film di Fellini, La strada e Le notti di Cabiria, che mi hanno aperto un mondo. Da lì mi sono avvicinato al cinema italiano e in particolare al neorealismo e ai film di Antonioni, Rossellini, Visconti. E ho maturato il desiderio di diventare un regista. Prima ancora però devo dire che avevo visto un film di Zeffirelli sulla vita di San Francesco e Assisi è stato il primo posto che ho visitato in Europa".
Un legame dunque forte con l'Italia (da ricordare anche che il suo lungometraggio d'esordio, Maborosi, vinse il premio Osella alla Mostra di Venezia a metà degli anni Novanta) e fa piacere che finalmente un suo film (ovviamente si parla di Like Father, Like Son) uscirà a breve, o almeno dovrebbe, nelle sale italiane grazie alla BIM Distribuzione.

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