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Il buono il matto il cattivo

  La locandina de Il buono il matto il cattivoUn cacciatore di taglie di animo buono, un ladro matto ed un killer cattivo a caccia di un tesoro in una polverosa Manciuria degli anni ’30 in cui infuria la guerra civile. Dopo commedia, horror e noir, l’eclettico sudcoreano Kim Jee-woon affronta il western con un omaggio alla celebre trilogia di Sergio Leone con Clint Eastwood


Manciuria, anni Trenta. Mentre infuria la guerra civile tra le forze di occupazione giapponesi, l’esercito indipendentista coreano e le bande manciuriane, tre pistoleri molto diversi l’uno dall’altro, il killer spietato Chang-yi, il cacciatore di taglie tutto d’un pezzo 

Do-won ed il ladro un po’ folle Tae-gu, sembrano interessati ad una sola cosa: recuperare a tutti i costi una preziosa ma indecifrabile mappa che potrebbe condurre a favolosi tesori della dinastia Qing. Disposti a qualsiasi cosa pur di avere tra le mani la mappa, Chang-yi, Do-won e Tae-gu si scontrano in una lotta serrata senza esclusioni di colpi.

Cineasta eclettico, Kim Jee-woon si è costruito la fama di regista di genere (nel corso della sua carriera ha affrontato svariati modelli cinematografici, dalla commedia sportiva in The Foul King all’horror con influenze giapponesi in A Tale of Two Sisters, al noir in stile melvilliano in A Bittersweet Life), ma anche di grande appassionato di cinema popolare (soprattutto europeo). Non c’è da stupirsi che abbia deciso di misurarsi anche con lo spaghetti-western ne Il buono il matto il cattivo, chiaro omaggio alla celebre ‘trilogia del dollaro’ di Sergio Leone con protagonista Clint Eastwood, distribuito nelle sale italiane tre anni dopo la sua presentazione fuori concorso al 61esimo Festival di Cannes.
Una immagine del filmIl film è un delirio post-moderno che celebra, in una dimensione spazio-temporale archetipica, le nozze tra l’immaginario della frontiera ed il sincretismo orientale, mescolando molti luoghi canonici del genere: dal sadismo nelle torture all’abilità nelle sparatorie, dal sangue che a volte sprizza copioso al fango in cui i personaggi non possono che agonizzare. Un divertissement dal gusto variegato, dove due culture distanti si incontrano e si scambiano mitologie, in una scenografia che è per metà teatro allegorico e per l’altra metà polvere del west, con una colonna sonora in cui riecheggiano le note delle colonne sonore di Ennio Morricone. Lo schema è dei più classici: una terra inospitale, un gruppo di pistoleri rivali, un tesoro da conquistare. Il tutto rappresentato nel segno dell’iperbole a colpi di grida, spari, corpi a corpo furiosi, attraverso immagini convulse che mostrano una gran dovizia di azioni vorticose, a cui lo sviluppo degli eventi – decisamente labile – non concede quasi mai pause.
Con un occhio ad Oriente e l’altro ad Occidente, Kim continua il suo viaggio nei generi all’insegna della contaminazione di dinamiche, scenari, caratteri e climi che appartengono ad altri film ed ad altri immaginari, con sempre l’ironia a fare a sottofondo. Puro piacere del racconto e della messa in scena in un guazzabuglio di rimandi ed influenze un po’ sgangherato, per niente raffinato, ma a tratti gustoso.

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