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From Up On Poppy Hill

La locandina originale di From Up On Poppy HillNel Giappone agli albori del boom economico due giovani studenti vivono un’intensa storia d’amore che li porta ad affrontare una scomoda verità sul loro passato... Dopo il flop artistico de I racconti di Terramare, Goro Miyazaki torna alla carica sotto l’egida del padre Hayao, con un film animato in perfetto stile Studio Ghibli
Yokohama, primi anni Sessanta. Umi è una brillante studentessa che vive in una casa famiglia: divide le sue giornate tra gli studi ed i lavori domestici. Shun è uno degli studenti più in vista del liceo della città: grazie alla sua proficua attività di redattore presso il giornale scolastico, si è conquistato una certa notorietà tra i suoi coetanei. I loro destini si incrociano durante la disputa per la demolizione o la salvaguardia del Quartiere Latino, una vecchia casa in legno, sede di molti club scolastici, in procinto di essere smantellata per fare posto ad una nuova struttura nell’ambito di un piano edilizio che fa parte di un progetto più ampio di ammodernamento in previsione delle Olimpiadi di Tokyo. Gli studenti si oppongono all’abbattimento dell’edificio: Umi e Shun si ritrovano così fianco a fianco in una lotta contro il tempo per evitare che il Quartiere Latino venga demolito. I due iniziano a trascorrere sempre più tempo insieme e, col passare dei giorni, sentono crescere dentro se stessi un profondo e sincero sentimento d’amore l’uno verso l’altra. Un terribile segreto sul passato familiare di entrambi rischia però di compromettere il loro rapporto.

Una immagine del filmSceneggiato da Hayao Miyazaki (sulla base di una serie di manga di Chizuru Takahashi e Tetsuro Sayama) e diretto dal figlio Goro (alla sua seconda regia dopo il flop artistico de I racconti di Terramare), From Up On Poppy Hill (in originale Kokurikozaka Kara) ripropone i classici ingredienti che hanno portato al successo le produzioni dello Studio Ghibli: ambienti e personaggi irresistibili, azione, gag, sentimenti e sorprese continue. Intimista e poetico, ha tutte le carte in regola per piacere al pubblico sia giovane che adulto, soprattutto in virtù di due protagonisti di cui è quasi impossibile non innamorarsi.
Presentato nella sezione Alice nella città della sesta edizione del Festival del Film di Roma, il film è animato in modo tradizionale ma non si nota. Il che non è poco in un’era in cui il cinema d’animazione sembra proiettato verso un futuro sempre più digitale. Non ci sono i soliti effetti speciali in rilievo studiati apposta per stupire gli spettatori. C’è piuttosto un approccio all’animazione che lavora sulla profondità di campo, sulla grandezza del mondo, sugli abissi interiori.
Come spesso capita con le pellicole dello Studio Ghibli, il film ha almeno due livelli di lettura: è una favola elementare e romantica su un amore contrastato da una verità sottaciuta come solo i giapponesi sanno raccontare, ma è anche un’istantanea con un occhio al presente su un periodo di transizione molto importante per il Giappone agli albori del boom economico (un momento storico in cui il Paese era diviso tra la rincorsa sfrenata alla modernità e la preservazione del suo passato). Il tutto rovesciando molte delle consuetudini dell’animazione, nelle immagini come nel racconto, con un’audacia, un senso della meraviglia ed un divertimento che lasciano lo spettatore entusiasta ad ogni scena. Nonostante cambino ispirazioni, soggetti e linguaggi, Miyazaki & Co. confermano anche questa volta un’inventiva continua ed una intelligenza vibrante che, seppur non paragonabili a quelle di altri loro lavori degli anni Novanta, non hanno eguali.

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