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Incontro con Shinya Tsukamoto

Shinya TsukamotoIl nuovo film del giapponese Shinya Tsukamoto è una riflessione attenta, spesso cruenta, sulla vita dell'uomo. Quale futuro lo attende? Quali paure dominano il suo presente e quello di una madre? Lo abbiamo chiesto direttamente al regista

Quanto può una madre preoccuparsi per la vita del proprio figlio? Quali pensieri possono governare la sua mente sul futuro che lo attende? Questi sono gli interrogativi che si è posto Shinya Tsukamoto, che alla 68° Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Orizzonti, ha presentato il suo nuovo lungometraggio Kotoko, interpretato dalla cantante giapponese Cocco. Per spiegare il suo film ha affermato: “L'esigenza che mi ha condotto a realizzare Kotoko nasce dalla volontà di parlare del rapporto madre-figlio. E' il legame primario nella vita dell'uomo, la base da cui ripartire e noi giapponesi abbiamo bisogno di ricostruire e nascere una seconda volta dopo l'11 marzo, giorno del terremoto e dello tsunami”.

Cocco è una giovane madre che vive all'interno di un conflitto tra mente e corpo. La prima la porta fuori dalla realtà, fuori dalla comune visione, così da poter vedere la doppiezza delle persone; quando incrocia lo sguardo di un individuo, Cocco visualizza la sua componente positiva e quella negativa che si scaglia contro di lei e suo figlio con violenza e malvagità. Tutto ciò le provoca ansia e terrore nei confronti del prossimo e del futuro. Non sa cosa quale vita possa costruire suo figlio se il mondo è pieno di malvagità. Per avere maggiore contatto con la realtà e con il suo corpo, la protagonista si lesiona, si taglia, come prova tangibile della sua esistenza. Per lo stesso motivo picchia e infligge continue sevizie all'uomo che le si avvicina dopo l'allontanamento del figlio dalla sua tutela. Cocco, però, non usa solo la violenza per sentirsi viva: la donna canta. La sua dolce voce si perde nell'aria e costruisce un ponte tra lei e ciò che la circonda. Quando il figlio, però, rientra sotto la sua tutela, la sua attenzione ansiosa degenera: l'ansia per ciò che succederà la attanaglia e la donna perde non solo la ragione, ma anche ogni contatto con la vita vera. Rimane in balia della sua mente.

Una scena di KotokoTsukamoto ragiona sul rapporto madre-figlio e “sull'ultra protezionismo della madre nei confronti del figlio”. Il regista afferma che “la madre non vuole che una guerra o un altro disastro possa uccidere il figlio. Quindi è spinta a voler ucciderlo lei stessa”. Perché raccontare il rapporto madre-figlio e i relativi, nonché legittimi, dubbi sul futuro in maniera così drastica, estrema, cospargendo l'intero film di violenza, ansia, terrore? La risposta è semplice e deriva dalla tragedia dell'11 marzo in Giappone. Il regista spiega: “Lo tsunami e il contagio radioattivo di Fukushima hanno messo in ginocchio il mio paese, costringendolo a riflettere sul perché di tale sciagura. Qualcosa non andava, il Giappone stava andando alla deriva, bisognava riportare l'ordine. Questo evento è paragonabile al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki: da qui si può solo migliorare, ma i dubbi sulla pericolosità dell'uomo rimangono. Quali altri eventi funesti possono minare il nostro futuro?”.

E' Cocco a incarnare questa situazione di dubbio, di terrore attraverso il suo aspetto magro, scheletrico, sfibrato dai suoi interrogativi e dal nervosismo. Il regista la rinchiude in una piccolissima casa bunker, claustrofobica, arredata con pochi mobili, da cui trapela fioca la luce dell'esterno, per isolarla dal mondo, malvagio e malefico. Shinya Tsukamoto premiato alla Mostra del Cinema di VeneziaLa protagonista appare morta, sconfitta, esanime, priva di forze utili a combattere e affrontare il futuro, metaforizzando, così, la situazione degli abitanti del Giappone. Il canto, però, rianima la sua vita. L'espressione vocale rappresenta il recupero della tradizione a cui riferirsi per rifondare, per andare avanti e l'elemento naturale, primario della vita dell'uomo, a cui aggrapparsi anche quando la violenza ha il sopravvento; è il momento naturalistico di liberazione nei confronti del dolore. Se ferire la sua persona o picchiare selvaggiamente l'uomo con cui vive, riporta Cocco alla realtà della violenza quotidiana, il canto la innalza sopra tutto, la lascia scivolare verso una prospettiva del futuro più serena.
Quindi il futuro può essere malvagio, ma anche colmo di speranza e per questo Kotoko riflette anche sul tema del doppio. Due sono le componenti in analisi, madre e figlio, due possono essere le strade da intraprendere per la loro vita, positiva o negativa, come le visioni di Cocco. Dipende dall'uomo e dalle sue scelte e in questo Tsukamoto dimostra di conoscere profondamente la sua natura.
Questo è il più grande pregio del film, la sua dimensione umana. Kotoko è un'indagine su ciò che spinge l'uomo verso una direzione, piuttosto che verso un'altra, su come lui stesso è artefice del suo futuro. Penetra nella mente della protagonista, ne viscere i dubbi attraverso un impatto visivo a volte terrificante, ma, paradossalmente, sempre reale, perché il presente dell'uomo è ancora di violenza. Per questo il film è stato insignito del Premio Orizzonti riservato ai lungometraggi.

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