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People Mountain People Sea

La locandina originale di People Mountain People SeaRabbia e sofferenza in una Cina ai margini della modernità attraverso la storia di un uomo di campagna pronto a tutto pur di acciuffare chi ha ucciso il fratello. Giovane esponente del cinema cinese indipendente, Cai Shangjun pantografa senza infingimenti l’implosione di una realtà nascosta, sfidando la censura

Cina, oggi. Lao Tao è un uomo di mezza età tornato ad abitare in un villaggio rurale dopo aver lavorato a lungo in città. La vita che conduce non è certo appagante: è a corto di soldi, vive in un ambiente contadino che trasuda miseria da ogni angolo, non ha una famiglia al suo fianco. A peggiorare le cose ci si mette un evento sconvolgente: l’inspiegabile uccisione di uno dei suoi fratelli minori per mano di un pregiudicato. La polizia identifica subito il responsabile dell’omicidio, ma non riesce ad evitarne la fuga in un’altra regione del Paese. Quando capisce che la sua sete di giustizia non può essere appagata per via dello scarso impegno con cui le autorità coordinano e conducono le indagini, Lao decide di mettersi sulle tracce dell’assassino, un ex carcerato di nome Xiao Qiang, per scovarlo e farlo rinchiudere dietro le sbarre. Inizia per lui un viaggio pieno di insidie che si conclude con un epilogo tragico.

Film sorpresa della 68esima Mostra del Cinema di Venezia, People Mountain People Sea (in originale Ren Shan Ren Hai) ci accompagna per mano in un vissuto vuoto e di cancellazioni (ispirato ad una vicenda realmente accaduta), specchio di una realtà ai margini della modernità, quella di una Cina rurale che sembra diventata un immenso scenario di miserabili ammassati tra brutture, squallore, rovine, grigiore e umiliazioni di una natura impotente. Artefice di questa umanità e di questi ambienti che sanno di abbandono e di desolazione è il poco noto Cai Shangjun, nuovo esponente del cinema cinese indipendente che, giunto al suo secondo lungometraggio, non si pone alcuno scrupolo nell’interrogare – senza infingimenti – l’orizzonte opprimente di una realtà scomoda e spesso sconosciuta, anche a costo di attirarsi le ire della censura cinese.
Il regista getta uno sguardo disincantato su un Paese disastrato nel tessuto familiare e soprattutto sociale: un inferno dei vivi a tratti illuminato da piccoli barlumi di dolente umanità ma pronto ad implodere nel peggiore dei modi (occhio al finale agghiacciante, degna conclusione di un percorso di rabbia e sofferenze represse…).  Ponendo il baricentro del suo interesse in Una scena di People Mountain People Seauna narrazione ininterrottamente centrata sul quotidiano, Cia dimostra una capacità di dialogare con il reale: non la realtà così come si presenta davanti l’obiettivo della cinepresa, ma cosa c’è dietro di essa (e cosa ci sarà se non si arriva ad un cambiamento). I personaggi si muovono in un contesto segnato da forti contrasti, sottolineato da dialoghi brevi e da lunghe inquadrature che rivelano un gusto estetico pregnante. In questa sorta di schianto (neo)realista la macchina da presa si muove lenta attorno allo spaesamento del singolo (il protagonista Lao Tao) che attraversa le classi sociali più deboli ed emarginate dalla ricorsa al benessere. Il tutto caratterizzato da una fotografia impastata di gradazioni raggelate che ingrigisce primi piani e sfondi, rendendo l’atmosfera ancora più opprimente.
Opera di non facile approccio, People Mountain People Sea vuole suscitare una riflessione su quanto accade nelle zone remote della Cina. Lo fa in modo efficace ed a volte struggente, anche se qua e là lascia trasparire un’eccessiva programmaticità nel modo in cui interseca l’azione dei personaggi e la loro rappresentazione per immagini. Non c’è dubbio che con questo film Cai si candida a diventare uno dei più promettenti successori dei registi della cosiddetta Sesta Generazione (di cui Jia Zhang-Ke è il capofila) del cinema cinese.

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